Libera lo splendore prigioniero. Il tentativo è quello di attivare delle volontà, di far partire una scintilla che, raccolta da chi ci segue, crei una scarica permanente, un flusso. Verrà il momento in cui tutti gli sconvolgimenti cosmici si assesteranno e l’universo si aprirà per un attimo, mostrandoci quello che può fare l’uomo.

martedì 20 maggio 2014

GESÙ È IL PARADOSSO PIÙ GRANDIOSO CHE CONOSCA LA STORIA






Appare egli in una regione secondaria dell'Impero romano, presso una nazione che i dominatori d'allora definivano volentieri come la più tetra di tutte (Tacito) e perniciosa alle altre (Quintiliano), considerandola quale una spregiatissima accolta di schiavi (Tacito). Da questa sua gente egli non esce giammai in tutta la sua vita, né giammai mostra desiderio di conoscere il mondo dei sapienti, degli esteti, dei politici, dei guerrieri che hanno in pugno la società civile d'allora. Nella sua stessa regione egli passa almeno nove decimi della vita segregato in un umilissimo villaggio, proverbialmente noto soltanto per la sua meschinità: là non frequenta scuole, non maneggia dotte pergamene, non mantiene relazioni con lontani sapienti della sua nazione; fa soltanto il carpentiere. Per trent'anni nessuno sa chi egli sia, salvo due o tre persone mute al par di lui.

A un tratto, passati i trent'anni, esce in pubblico e comincia ad agire. Non dispone di mezzi umani di nessun genere: non ha armi, non denaro, non sapienza accademica, non potenza estetica, non argomenti politici. S'aggira poi quasi sempre fra povera gente, pescatori e contadini: cerca con particolare premura i pubblicani, le meretrici e gli altri reietti della buona società. Fra questa gente opera miracoli, in gran numero e di vario genere. S'associa un gruppetto di pescatori che lo seguono costantemente come suoi particolari discepoli. Agisce per meno di tre anni.
La sua azione consiste nel predicare una dottrina che non è né filosofica né politica, ma esclusivamente religiosa e morale. Questa dottrina è quanto di più inaudito sia stato affermato nel mondo. Sembrerebbe una dottrina costituita con gli scarti ripudiati concordemente da tutte le filosofie, con ciò che il mondo intero ha sempre in tutti i paesi gettato lontano da sé. Ciò che per il mondo è male, per Gesù è bene: ciò che per il mondo è bene, per Gesù è male. La povertà, l'umiltà, la sottomissione, il sopportare silenziosamente le ingiurie, il ritirarsi indietro per far posto agli altri, come sono sommi mali per il mondo così sono sommi beni per Gesù: e viceversa le ricchezze, gli onori, il dominio su altri, e tutte le altre cose che formano la felicità per il mondo, rappresentano per Gesù un discapito o almeno un pericolo gravissimo. Gesù è l'antitesi del mondo.

Il mondo infatti vede solo ciò che si scorge: Gesù invece afferma di vedere anche ciò che non si scorge. Il mondo vede esclusivamente la terra, e la vede dal basso: Gesù invece vede specialmente il cielo, e contempla la terra dal cielo. Per Gesù la terra non ha senso in se stessa, è un episodio doloroso e transitorio che non contiene in sé una soluzione adeguata: per lui la terra si risolve adeguatamente nel cielo e riceve senso soltanto dal cielo. La vita presente in tanto ha valore in quanto è preparazione a una vita futura: è una dimora faticosa e instabile, ma che ha valore come punto d'appoggio da cui spiccare il volo verso una dimora gioiosa e stabile. Gli inquilini della dimora instabile che ripongono tutte le loro speranze in essa e non vogliono distaccarsi da essa, costituiscono il regno del mondo; gl'inquilini invece che dimorano in essa anelando alla dimora stabile e preparandosi a spiccare il volo verso questa, costituiscono il regno di Dio.

… La forza d'ambedue i regni consiste in due amori, per due oggetti differenti. I sudditi del regno del mondo amano soltanto se stessi, o ciò ch'è utile e piacevole a se stessi: per tutti gli altri esseri della terra e del cielo essi hanno o formale odio o fredda noncuranza. I cittadini del regno di Dio amano in primo luogo Dio, poi scendendo giù giù lungo la gerarchia degli esseri hanno particolare amore per gli uomini malefici o disutili, e cercano di fare il bene a chi fa il male o non sa fare il bene: per essi il dare è un guadagnare, e perciò non conoscono l'odio. Di questo regno di Dio, che ha per sua forza l'amore di Dio e degli uomini, Gesù è il banditore.
Il regno di Dio è quello preannunziato dagli antichi profeti d'Israele, il cui annunciatore sarebbe stato il Messia promesso al popolo eletto. Gesù nel predicare la sua dottrina ha coscienza di agire come Messia; tuttavia non si dichiara tale fin dal principio per evitare che le turbe, tutte vibranti di speranze messianico-politiche, lo accolgano come condottiero nazionale e interpretino la sua dottrina come un proclama politico.

Difficilissima è quindi la sua missione: egli deve ammaestrare folle su argomenti che saranno indubbiamente fraintesi, giacché quando egli parlerà di vittoria sul male le folle intenderanno la vittoria sui Romani e quando nominerà il regno di Dio intenderanno il reame d'Israele. Eppure egli deve parlare di quegli argomenti ed usare quei precisi termini, perché essi sono già fissati nelle sacre Scritture del popolo di Dio: e Gesù, come Messia, è venuto a compiere quelle Scritture non ad abolire, ad integrare non ad abbattere. La sua missione è rivolta direttamente al solo popolo eletto depositario delle antiche promesse di Dio; tuttavia, quando siano adempiute quelle promesse, gli effetti della sua missione s'effonderanno su tutti i popoli della terra.

A tale scopo egli istituisce una società stabile, la Chiesa. Ma la maggior parte del popolo eletto non accoglie la sua predicazione, e i più ostili contro di lui sono appunto i dirigenti di quel popolo, ossia i sommi sacerdoti dal Tempio e i Farisei dalle sinagoghe. Nella Galilea la sua operosità produce scarsissimi frutti, e perciò egli l'abbandona e si trasferisce nella Giudea e nella capitale Gerusalemme. Qui i frutti non sono maggiori che nella Galilea, mentre assai maggiori sono le ostilità incontrate. I sommi sacerdoti e i Farisei sono convinti della sua potenza taumaturgica, e su molti punti della sua dottrina non dissentirebbero da lui: non gli perdonano però la sua franchezza nel denunziare le ipocrisie dei ceti dirigenti e la sua fermezza nel condannare il vacuo formalismo che inaridisce la vita religiosa. Dopo averlo tollerato a malincuore per qualche tempo, lo arrestano a tradimento, lo condannano nel tribunale della nazione per imputazioni religiose, e lo fanno ricondannare nel tribunale del rappresentante di Roma per imputazioni civili.

Gesù muore crocifisso.
Dopo tre giorni i condannatori sono convinti che egli è risorto. I discepoli dapprima non ne sono convinti; ma in seguito si arrendono all'evidenza, avendolo visto e toccato con mano più volte e avendo parlato con lui come avevano fatto prima della sua morte.

Ma il paradosso di Gesù continua, tale quale, anche dopo la sua morte. Come egli nella sua prima vita è stato l'antitesi del mondo, così l'istituzione da lui fondata continuerà ad essere nella maniera più inverosimile la negazione del mondo.
Nessuna risonanza egli ha lasciato negli alti ceti della società contemporanea: in tutto l'Impero romano gli storici lo ignorano, i sapienti non conoscono le sue dottrine, gli uomini di governo hanno tutt'al più annotato nei registri la morte di lui come di uno schiavo rivoluzionario e non ci hanno pensato più; gli stessi maggiorenti della sua nazione, soddisfatti della sua scomparsa, sono dispostissimi a dimenticarlo del tutto. L'istituzione di lui sembra ridotta nello stato d'agonia in cui si trovava il corpo di lui quand'era inchiodato sulla croce: di fronte all'istituzione di Gesù sta il mondo a contemplare da trionfatore quell'agonia, come da trionfatori erano stati i sommi sacerdoti ai piedi della croce di lui.

E invece, con un balzo repentino, l'istituzione agonizzante sorge ed avvince fra le sue braccia il mondo intero: passano bensì tre secoli fra persecuzioni e stragi, e sembrano tre secoli che prolunghino l'agonia della croce o che rinnovino i tre giorni della dimora nel sepolcro, ma dopo il terzo secolo la società civile è ufficialmente seguace di Gesù. Il regno del mondo non è però debellato, e la guerra prosegue con folle alquanto mutate ma con la stessa tenacia di prima. Gesù, ossia la sua istituzione, diventa sempre più nella storia della civiltà umana il «segno di contraddizione». La sua paradossale e gravosissima dottrina è accettata da infiniti uomini e praticata da essi con amore immenso fino all'ultimo sacrificio: infiniti altri uomini la respingono con tenacia inflessibile e la odiano con avversione furibonda. Si direbbe che attorno a questo «segno di contraddizione» siano concentrati gli sforzi della parte più civile del genere umano, gli uni per esaltarlo gli altri per calpestarlo.

Nella furiosa battaglia avvengono anche insidie e simulazioni: spesso appaiono schiere che agitano vessilli ricopiati dal « segno di contraddizione », e innalzando grida intonate ai precetti di Gesù proclamano fratellanze ed altruismi ignoti ai sudditi del mondo; ma l'insidia non regge a lungo e la simulazione finisce per tradire la diversità di voce e di accento.

Certo è che Gesù, oggi, è più vivo che mai fra gli uomini. Tutti hanno bisogno di lui, o per amarlo o per bestemmiarlo: ma farne a meno non possono. Molti uomini furono amati intensissimamente nei tempi andati. Socrate dai suoi discepoli, Giulio Cesare dai suoi legionari, Napoleone dai suoi soldati: ma oggi questi uomini sono inesorabilmente trapassati, nessun cuore palpita più per le loro persone, nessun uomo darebbe la sua vita o anche solo le sue ricchezze per essi, anche se i loro ideali siano ancora propugnati da altri; se poi i loro ideali siano avversati, nessuno pensa a bestemmiare né Socrate né Giulio Cesare né Napoleone, perché le loro persone non hanno più efficacia e sono trapassate. Gesù, no; Gesù è tuttora amato e tuttora bestemmiato; si rinunzia tuttora alle ricchezze e perfino alla vita sia per suo amore sia anche per odio contro di lui.

Nessun vivente è tanto vivo quanto Gesù.

Egli è « segno di contraddizione » anche come fatto storico. È vero che i grandi storici del gran mondo ufficiale d'allora lo ignorano: ciò è regolare, perché quegli storici abbagliati dal fulgore della Roma d'Augusto non avevano l'acutezza di vista - e neppure i documenti storici - per rintracciare un oscuro barbaro di una spregiatissima accolta di schiavi. Ma ciò non vuol dire che la figura di Gesù sia storicamente meno documentata e sicura di quella di Augusto e dei suoi più famosi contemporanei. Certamente sarebbe oggi nostro ardente desiderio sapere di lui molte più cose di quelle che sappiamo; ma se troppo poche per il nostro desiderio sono le cose narrateci, in compenso gli scrittori che le narrano godono di primissima autorità. Di questi quattro scrittori, due sono testimoni oculari che rimasero a fianco di Gesù giorno e notte per quasi tutta la sua vita pubblica; gli altri due conobbero e interrogarono ampiamente testimoni di tal fatta. Tutti e quattro, poi, narrano con semplicità e rudezza preziose, e con quella « impassibilità » davanti ai fatti sia piacevoli sia atroci la quale non rinnega affatto l'adesione ma sa elevarsi più in alto di essa. Senza dubbio i quattro scrittori hanno scopo di propaganda, perché mirano a far conoscere la figura di Gesù e a diffondere la fede in lui; ma appunto per raggiungere tale meta era necessario seguire la strada dell'obiettività e veracità, allorché migliaia di testimoni interessati potevano sorgere e contestare narrazioni che fossero state fantasiose e tendenziose. La garanzia storica che noi abbiamo per i fatti e per le dottrine di Gesù non è uguagliata neppure da quella per Augusto e i suoi più famosi contemporanei.

Ma anche qui, come nel resto, il « segno di contraddizione » è contraddetto. Il Gesù presentatoci dai quattro storici non è vero, non può esser vero, perché è soprannaturale: bisogna ridurre razionalmente la sua figura delineata dagli evangelisti a proporzioni naturali, spogliandola del miracoloso. È il programma della critica razionalista. Comincia il Reimarus, ed afferma che gli evangelisti sono volgari ciurmadori e mentitori.

- Segue il Paulus e difende gli evangelisti: essi sono in perfetta buona fede, soltanto che sono degli entusiasti inesperti e non comprendono bene ciò che vedono.

- Continua lo Strauss : gli evangelisti non pretendono narrare vera storia ma solo espongono dei miti, dei concetti astratti espressi in forma di fatti storici.

- Il Baur vede le cose diversamente: i racconti evangelici sono il risultato di contrasti nella vita sociale della Chiesa e contengono ben poco di storico.

- Anzi, soggiunge poco dopo il Bauer, non contengono nulla affatto di storico, e Gesù non è mai esistito ma è una creazione mitica.

- Viene poi la Scuola liberale, per cui Gesù è una specie di pastore protestante, predicatore rugiadoso di una morale di pietà per gli uomini e di sentimento religioso per Iddio.

- Ma si fa avanti la Scuola escatologica, e trova che Gesù è un visionario esaltato il quale scorge imminente la fine del mondo, e perciò predica la sua paradossale dottrina di rinuncia e d'abnegazione.

- Si ritorna infine all'idea del Bauer, e si afferma che Gesù è un essere mitico giammai esistito sulla faccia della terra.

Ebbene, tutte queste varie interpretazioni sorgono immancabilmente per reazione dell'una contro l'altra, e quella posteriore rinnega in pieno ciò che ha detto quella anteriore. In un solo punto esse s'accordano perfettamente fra loro, ed è nel sostenere che i racconti evangelici non corrispondono alla realtà storica e quindi che il Gesù della tradizione è falso.

Di qui una conseguenza pratica eloquentissima. Se il Gesù della tradizione è falso, e se d'altra parte ancora non si è trovato il modo di dimostrare in qual maniera e misura sia falso, ne consegue che una biografia scientifica di Gesù oggi non si può scrivere. E di fatti così avviene: le grandi Vite di Gesù di cui fu feconda specialmente la Scuola liberale oggi non compaiono più, e tutt'al più si delineano brevissimi schizzi della figura di Gesù in cui i tratti sicuramente storici sono ridotti a quasi nulla. Un Gesù storico evanescente e inafferrabile, somigliantissimo in pratica al Gesù del tutto mitico: ecco l'ultima parola della critica razionalista applicata ai vangeli.

Ora, tutto ciò non è che un episodio della millenaria lotta fra Gesù e il mondo. Dicemmo che la lotta non cesserà se non quando uno dei due avversari abbia totalmente debellato l'altro: perciò il mondo debella Gesù nel campo storico cancellando quanto più può la sua figura.
La tattica è vecchia. Anche i Farisei volevano cancellare di Gesù tutto quanto, fatti, dottrine e istituzione; perfino della sua fredda salma ebbero essi paura, e la sigillarono nella tomba collocandovi davanti delle guardie. Dopo i Farisei mille altre volte Gesù è stato cancellato dalla faccia della terra é sigillato nella tomba, e a seconda dei tempi sono stati collocati davanti la sua tomba a far la guardia lo Stato o la Religione, la Filosofia o la Scienza, la Democrazia o l'Aristocrazia, il Proletariato o la Nazione.

Ma che è avvenuto nel passato? Che avverrà nel futuro?

I vangeli narrano che il Gesù sigillato nella tomba dai Farisei è risorto. La storia narra che il Gesù ucciso in seguito mille volte si è dimostrato ogni volta più vivo di prima. Ora, trattandosi della stessa tattica, v'è ogni motivo di credere che lo stesso avverrà al Gesù rimesso in croce dalla critica storica.
Questi critici, infatti, sono privi d'ogni originalità: non fanno che ripetere la stessa e medesima tattica, ricopiare gli stessi e medesimi metodi. Hanno plagiato il metodo dei Farisei: hanno plagiato anche il demonio.

Il Renan, appena narrata la morte di Gesù, si esprime così: Riposa nella tua gloria, o nobile iniziatore! La tua opera è compiuta, è fondata la tua divinità. Non temere più di veder crollare per qualche errore l'edificio che hai eretto; d'ora in poi, immune da fragilità, tu assisterai dall'alto della pace divina alle conseguenze infinite dei tuoi atti... Per migliaia d'anni il mondo obbedirà a te: bandiera delle nostre contraddizioni, tu sarai il segno attorno a cui si combatterà la più fiera battaglia. Mille volte più vivo, mille volte più amato dopo la tua morte che nei giorni del tuo passaggio quaggiù, tu diverrai la pietra angolare dell'umanità a tal punto che strappare il tuo nome dal mondo sarebbe lo stesso che scuoterlo dalle fondamenta. Fra te e Dio non si distinguerà più, ecc. ecc.

Ora, questa è pura retorica: è una semplice tirata oratoria che non ha né sincerità né sentimento vero…

E la lotta attorno al « segno di contraddizione » continuerà, fino a che siano su questo mondo i figli dell'uomo.


Giuseppe Ricciotti. Vita di Gesù. Tipografia Poliglotta Vaticana, Pasqua 1941