
Appare
egli in una regione secondaria dell'Impero romano, presso una nazione
che i dominatori d'allora definivano volentieri come la più tetra di
tutte (Tacito) e perniciosa alle altre (Quintiliano), considerandola
quale una spregiatissima accolta di schiavi (Tacito). Da questa sua
gente egli non esce giammai in tutta la sua vita, né giammai mostra
desiderio di conoscere il mondo dei sapienti, degli esteti, dei
politici, dei guerrieri che hanno in pugno la società civile
d'allora. Nella sua stessa regione egli passa almeno nove decimi
della vita segregato in un umilissimo villaggio, proverbialmente noto
soltanto per la sua meschinità: là non frequenta scuole, non
maneggia dotte pergamene, non mantiene relazioni con lontani sapienti
della sua nazione; fa soltanto il carpentiere. Per trent'anni nessuno
sa chi egli sia, salvo due o tre persone mute al par di lui.
A
un tratto, passati i trent'anni, esce in pubblico e comincia ad
agire. Non dispone di mezzi umani di nessun genere: non ha armi, non
denaro, non sapienza accademica, non potenza estetica, non argomenti
politici. S'aggira poi quasi sempre fra povera gente, pescatori e
contadini: cerca con particolare premura i pubblicani, le meretrici e
gli altri reietti della buona società. Fra questa gente opera
miracoli, in gran numero e di vario genere. S'associa un gruppetto di
pescatori che lo seguono costantemente come suoi particolari
discepoli. Agisce per meno di tre anni.
La sua azione consiste
nel predicare una dottrina che non è né filosofica né politica, ma
esclusivamente religiosa e morale. Questa dottrina è quanto di più
inaudito sia stato affermato nel mondo. Sembrerebbe una dottrina
costituita con gli scarti ripudiati concordemente da tutte le
filosofie, con ciò che il mondo intero ha sempre in tutti i paesi
gettato lontano da sé. Ciò che per il mondo è male, per Gesù è
bene: ciò che per il mondo è bene, per Gesù è male. La povertà,
l'umiltà, la sottomissione, il sopportare silenziosamente le
ingiurie, il ritirarsi indietro per far posto agli altri, come sono
sommi mali per il mondo così sono sommi beni per Gesù: e viceversa
le ricchezze, gli onori, il dominio su altri, e tutte le altre cose
che formano la felicità per il mondo, rappresentano per Gesù un
discapito o almeno un pericolo gravissimo. Gesù è l'antitesi del
mondo.
Il mondo infatti vede solo ciò che si scorge: Gesù
invece afferma di vedere anche ciò che non si scorge. Il mondo vede
esclusivamente la terra, e la vede dal basso: Gesù invece vede
specialmente il cielo, e contempla la terra dal cielo. Per Gesù la
terra non ha senso in se stessa, è un episodio doloroso e
transitorio che non contiene in sé una soluzione adeguata: per lui
la terra si risolve adeguatamente nel cielo e riceve senso soltanto
dal cielo. La vita presente in tanto ha valore in quanto è
preparazione a una vita futura: è una dimora faticosa e instabile,
ma che ha valore come punto d'appoggio da cui spiccare il volo verso
una dimora gioiosa e stabile. Gli inquilini della dimora instabile
che ripongono tutte le loro speranze in essa e non vogliono
distaccarsi da essa, costituiscono il regno del mondo; gl'inquilini
invece che dimorano in essa anelando alla dimora stabile e
preparandosi a spiccare il volo verso questa, costituiscono il regno
di Dio.
… La forza d'ambedue i regni consiste in due amori,
per due oggetti differenti. I sudditi del regno del mondo amano
soltanto se stessi, o ciò ch'è utile e piacevole a se stessi: per
tutti gli altri esseri della terra e del cielo essi hanno o formale
odio o fredda noncuranza. I cittadini del regno di Dio amano in primo
luogo Dio, poi scendendo giù giù lungo la gerarchia degli esseri
hanno particolare amore per gli uomini malefici o disutili, e cercano
di fare il bene a chi fa il male o non sa fare il bene: per essi il
dare è un guadagnare, e perciò non conoscono l'odio. Di questo
regno di Dio, che ha per sua forza l'amore di Dio e degli uomini,
Gesù è il banditore.
Il regno di Dio è quello preannunziato
dagli antichi profeti d'Israele, il cui annunciatore sarebbe stato il
Messia promesso al popolo eletto. Gesù nel predicare la sua dottrina
ha coscienza di agire come Messia; tuttavia non si dichiara tale fin
dal principio per evitare che le turbe, tutte vibranti di speranze
messianico-politiche, lo accolgano come condottiero nazionale e
interpretino la sua dottrina come un proclama politico.
Difficilissima è quindi la sua missione: egli deve
ammaestrare folle su argomenti che saranno indubbiamente fraintesi,
giacché quando egli parlerà di vittoria sul male le folle
intenderanno la vittoria sui Romani e quando nominerà il regno di
Dio intenderanno il reame d'Israele. Eppure egli deve parlare di
quegli argomenti ed usare quei precisi termini, perché essi sono già
fissati nelle sacre Scritture del popolo di Dio: e Gesù, come
Messia, è venuto a compiere quelle Scritture non ad abolire, ad
integrare non ad abbattere. La sua missione è rivolta direttamente
al solo popolo eletto depositario delle antiche promesse di Dio;
tuttavia, quando siano adempiute quelle promesse, gli effetti della
sua missione s'effonderanno su tutti i popoli della terra.
A
tale scopo egli istituisce una società stabile, la Chiesa. Ma la
maggior parte del popolo eletto non accoglie la sua predicazione, e i
più ostili contro di lui sono appunto i dirigenti di quel popolo,
ossia i sommi sacerdoti dal Tempio e i Farisei dalle sinagoghe. Nella
Galilea la sua operosità produce scarsissimi frutti, e perciò egli
l'abbandona e si trasferisce nella Giudea e nella capitale
Gerusalemme. Qui i frutti non sono maggiori che nella Galilea, mentre
assai maggiori sono le ostilità incontrate. I sommi sacerdoti e i
Farisei sono convinti della sua potenza taumaturgica, e su molti
punti della sua dottrina non dissentirebbero da lui: non gli
perdonano però la sua franchezza nel denunziare le ipocrisie dei
ceti dirigenti e la sua fermezza nel condannare il vacuo formalismo
che inaridisce la vita religiosa. Dopo averlo tollerato a malincuore
per qualche tempo, lo arrestano a tradimento, lo condannano nel
tribunale della nazione per imputazioni religiose, e lo fanno
ricondannare nel tribunale del rappresentante di Roma per imputazioni
civili.
Gesù muore crocifisso.
Dopo tre giorni i
condannatori sono convinti che egli è risorto. I discepoli dapprima
non ne sono convinti; ma in seguito si arrendono all'evidenza,
avendolo visto e toccato con mano più volte e avendo parlato con lui
come avevano fatto prima della sua morte.
Ma il paradosso di
Gesù continua, tale quale, anche dopo la sua morte. Come egli nella
sua prima vita è stato l'antitesi del mondo, così l'istituzione da
lui fondata continuerà ad essere nella maniera più inverosimile la
negazione del mondo.
Nessuna risonanza egli ha lasciato negli
alti ceti della società contemporanea: in tutto l'Impero romano gli
storici lo ignorano, i sapienti non conoscono le sue dottrine, gli
uomini di governo hanno tutt'al più annotato nei registri la morte
di lui come di uno schiavo rivoluzionario e non ci hanno pensato più;
gli stessi maggiorenti della sua nazione, soddisfatti della sua
scomparsa, sono dispostissimi a dimenticarlo del tutto. L'istituzione
di lui sembra ridotta nello stato d'agonia in cui si trovava il corpo
di lui quand'era inchiodato sulla croce: di fronte all'istituzione di
Gesù sta il mondo a contemplare da trionfatore quell'agonia, come da
trionfatori erano stati i sommi sacerdoti ai piedi della croce di
lui.
E invece, con un balzo repentino, l'istituzione
agonizzante sorge ed avvince fra le sue braccia il mondo intero:
passano bensì tre secoli fra persecuzioni e stragi, e sembrano tre
secoli che prolunghino l'agonia della croce o che rinnovino i tre
giorni della dimora nel sepolcro, ma dopo il terzo secolo la società
civile è ufficialmente seguace di Gesù. Il regno del mondo non è
però debellato, e la guerra prosegue con folle alquanto mutate ma
con la stessa tenacia di prima. Gesù, ossia la sua istituzione,
diventa sempre più nella storia della civiltà umana il «segno di
contraddizione». La sua paradossale e gravosissima dottrina è
accettata da infiniti uomini e praticata da essi con amore immenso
fino all'ultimo sacrificio: infiniti altri uomini la respingono con
tenacia inflessibile e la odiano con avversione furibonda. Si direbbe
che attorno a questo «segno di contraddizione» siano concentrati
gli sforzi della parte più civile del genere umano, gli uni per
esaltarlo gli altri per calpestarlo.
Nella furiosa battaglia
avvengono anche insidie e simulazioni: spesso appaiono schiere che
agitano vessilli ricopiati dal « segno di contraddizione », e
innalzando grida intonate ai precetti di Gesù proclamano fratellanze
ed altruismi ignoti ai sudditi del mondo; ma l'insidia non regge a
lungo e la simulazione finisce per tradire la diversità di voce e di
accento.
Certo è che Gesù, oggi, è più vivo che mai fra
gli uomini. Tutti hanno bisogno di lui, o per amarlo o per
bestemmiarlo: ma farne a meno non possono. Molti uomini furono amati
intensissimamente nei tempi andati. Socrate dai suoi discepoli,
Giulio Cesare dai suoi legionari, Napoleone dai suoi soldati: ma oggi
questi uomini sono inesorabilmente trapassati, nessun cuore palpita
più per le loro persone, nessun uomo darebbe la sua vita o anche
solo le sue ricchezze per essi, anche se i loro ideali siano ancora
propugnati da altri; se poi i loro ideali siano avversati, nessuno
pensa a bestemmiare né Socrate né Giulio Cesare né Napoleone,
perché le loro persone non hanno più efficacia e sono trapassate.
Gesù, no; Gesù è tuttora amato e tuttora bestemmiato; si rinunzia
tuttora alle ricchezze e perfino alla vita sia per suo amore sia
anche per odio contro di lui.
Nessun vivente è tanto vivo
quanto Gesù.
Egli è « segno di contraddizione » anche
come fatto storico. È vero che i grandi storici del gran mondo
ufficiale d'allora lo ignorano: ciò è regolare, perché quegli
storici abbagliati dal fulgore della Roma d'Augusto non avevano
l'acutezza di vista - e neppure i documenti storici - per
rintracciare un oscuro barbaro di una spregiatissima accolta di
schiavi. Ma ciò non vuol dire che la figura di Gesù sia
storicamente meno documentata e sicura di quella di Augusto e dei
suoi più famosi contemporanei. Certamente sarebbe oggi nostro
ardente desiderio sapere di lui molte più cose di quelle che
sappiamo; ma se troppo poche per il nostro desiderio sono le cose
narrateci, in compenso gli scrittori che le narrano godono di
primissima autorità. Di questi quattro scrittori, due sono testimoni
oculari che rimasero a fianco di Gesù giorno e notte per quasi tutta
la sua vita pubblica; gli altri due conobbero e interrogarono
ampiamente testimoni di tal fatta. Tutti e quattro, poi, narrano con
semplicità e rudezza preziose, e con quella « impassibilità »
davanti ai fatti sia piacevoli sia atroci la quale non rinnega
affatto l'adesione ma sa elevarsi più in alto di essa. Senza dubbio
i quattro scrittori hanno scopo di propaganda, perché mirano a far
conoscere la figura di Gesù e a diffondere la fede in lui; ma
appunto per raggiungere tale meta era necessario seguire la strada
dell'obiettività e veracità, allorché migliaia di testimoni
interessati potevano sorgere e contestare narrazioni che fossero
state fantasiose e tendenziose. La garanzia storica che noi abbiamo
per i fatti e per le dottrine di Gesù non è uguagliata neppure da
quella per Augusto e i suoi più famosi contemporanei.
Ma
anche qui, come nel resto, il « segno di contraddizione » è
contraddetto. Il Gesù presentatoci dai quattro storici non è vero,
non può esser vero, perché è soprannaturale: bisogna ridurre
razionalmente la sua figura delineata dagli evangelisti a proporzioni
naturali, spogliandola del miracoloso. È il programma della critica
razionalista. Comincia il Reimarus, ed afferma che gli evangelisti
sono volgari ciurmadori e mentitori.
- Segue il Paulus e
difende gli evangelisti: essi sono in perfetta buona fede, soltanto
che sono degli entusiasti inesperti e non comprendono bene ciò che
vedono.
- Continua lo Strauss : gli evangelisti non
pretendono narrare vera storia ma solo espongono dei miti, dei
concetti astratti espressi in forma di fatti storici.
- Il
Baur vede le cose diversamente: i racconti evangelici sono il
risultato di contrasti nella vita sociale della Chiesa e contengono
ben poco di storico.
- Anzi, soggiunge poco dopo il Bauer,
non contengono nulla affatto di storico, e Gesù non è mai esistito
ma è una creazione mitica.
- Viene poi la Scuola liberale,
per cui Gesù è una specie di pastore protestante, predicatore
rugiadoso di una morale di pietà per gli uomini e di sentimento
religioso per Iddio.
- Ma si fa avanti la Scuola
escatologica, e trova che Gesù è un visionario esaltato il quale
scorge imminente la fine del mondo, e perciò predica la sua
paradossale dottrina di rinuncia e d'abnegazione.
- Si
ritorna infine all'idea del Bauer, e si afferma che Gesù è un
essere mitico giammai esistito sulla faccia della terra.
Ebbene,
tutte queste varie interpretazioni sorgono immancabilmente per
reazione dell'una contro l'altra, e quella posteriore rinnega in
pieno ciò che ha detto quella anteriore. In un solo punto esse
s'accordano perfettamente fra loro, ed è nel sostenere che i
racconti evangelici non corrispondono alla realtà storica e quindi
che il Gesù della tradizione è falso.
Di qui una
conseguenza pratica eloquentissima. Se il Gesù della tradizione è
falso, e se d'altra parte ancora non si è trovato il modo di
dimostrare in qual maniera e misura sia falso, ne consegue che una
biografia scientifica di Gesù oggi non si può scrivere. E di fatti
così avviene: le grandi Vite di Gesù di cui fu feconda specialmente
la Scuola liberale oggi non compaiono più, e tutt'al più si
delineano brevissimi schizzi della figura di Gesù in cui i tratti
sicuramente storici sono ridotti a quasi nulla. Un Gesù storico
evanescente e inafferrabile, somigliantissimo in pratica al Gesù del
tutto mitico: ecco l'ultima parola della critica razionalista
applicata ai vangeli.
Ora, tutto ciò non è che un episodio
della millenaria lotta fra Gesù e il mondo. Dicemmo che la lotta non
cesserà se non quando uno dei due avversari abbia totalmente
debellato l'altro: perciò il mondo debella Gesù nel campo storico
cancellando quanto più può la sua figura.
La tattica è
vecchia. Anche i Farisei volevano cancellare di Gesù tutto quanto,
fatti, dottrine e istituzione; perfino della sua fredda salma ebbero
essi paura, e la sigillarono nella tomba collocandovi davanti delle
guardie. Dopo i Farisei mille altre volte Gesù è stato cancellato
dalla faccia della terra é sigillato nella tomba, e a seconda dei
tempi sono stati collocati davanti la sua tomba a far la guardia lo
Stato o la Religione, la Filosofia o la Scienza, la Democrazia o
l'Aristocrazia, il Proletariato o la Nazione.
Ma che è
avvenuto nel passato? Che avverrà nel futuro?
I vangeli
narrano che il Gesù sigillato nella tomba dai Farisei è risorto. La
storia narra che il Gesù ucciso in seguito mille volte si è
dimostrato ogni volta più vivo di prima. Ora, trattandosi della
stessa tattica, v'è ogni motivo di credere che lo stesso avverrà al
Gesù rimesso in croce dalla critica storica.
Questi critici,
infatti, sono privi d'ogni originalità: non fanno che ripetere la
stessa e medesima tattica, ricopiare gli stessi e medesimi metodi.
Hanno plagiato il metodo dei Farisei: hanno plagiato anche il
demonio.
Il Renan, appena narrata la morte di Gesù, si
esprime così: Riposa nella tua gloria, o nobile iniziatore! La
tua opera è compiuta, è fondata la tua divinità. Non temere più
di veder crollare per qualche errore l'edificio che hai eretto; d'ora
in poi, immune da fragilità, tu assisterai dall'alto della pace
divina alle conseguenze infinite dei tuoi atti... Per migliaia d'anni
il mondo obbedirà a te: bandiera delle nostre contraddizioni, tu
sarai il segno attorno a cui si combatterà la più fiera battaglia.
Mille volte più vivo, mille volte più amato dopo la tua morte che
nei giorni del tuo passaggio quaggiù, tu diverrai la pietra angolare
dell'umanità a tal punto che strappare il tuo nome dal mondo sarebbe
lo stesso che scuoterlo dalle fondamenta. Fra te e Dio non si
distinguerà più, ecc. ecc.
Ora, questa è pura
retorica: è una semplice tirata oratoria che non ha né sincerità
né sentimento vero…
E la lotta attorno al « segno di
contraddizione » continuerà, fino a che siano su questo mondo i
figli dell'uomo.
Giuseppe Ricciotti. Vita di Gesù.
Tipografia Poliglotta Vaticana, Pasqua 1941