Libera lo splendore prigioniero. Il tentativo è quello di attivare delle volontà, di far partire una scintilla che, raccolta da chi ci segue, crei una scarica permanente, un flusso. Verrà il momento in cui tutti gli sconvolgimenti cosmici si assesteranno e l’universo si aprirà per un attimo, mostrandoci quello che può fare l’uomo.

domenica 19 ottobre 2014

LA VITA OLTRE




Sto facendo depositare dentro di me tutti gli avvenimenti degli ultimi tempi e sento che la mia ragione si dimostra limitata davanti a certi misteri, a certi vincoli segreti della vita, alle oscure volontà del cosmo, all’immenso colloquio dell’universo. Come cacciato fuori dal mondo delle cose conosciute mi agito al di là del confine della vita, tra interrogativi sconcertanti, tra imprecisi fantasmi, tra risposte troppo chiare per non essere una fetta della realtà ma la verità completa, tra ombre chiazzate di rapide luci che si spengono sempre prima di poter vedere e capire fino in fondo che cosa illuminino, bagliori improvvisi d’intuizioni che si smorzano prima di raggiungere l’intelligenza e la memoria. Sento che l’anima può racchiudere formidabili forze ignote che solo per questo appaiono oscure. Ma queste forze misteriose di cui ho sperimentato l’esistenza, sono consapevoli e individuali oppure inconsce e impersonali? E quando veniamo a contatto con una di esse è perché la nostra psiche ha proiettato al di fuori di sé una parte autonoma, oppure il nostro è un incontro con un’energia indipendente da noi, forse un’entità disincarnata, definita e reale?
Ora so che non sono pensieri né suggestioni, ma anime dei viventi di ieri, ora operanti su di un altro piano; non sono materiali inconsci che salgono in superfice a causa di un trauma, ma qualcosa, o meglio, qualcuno che attenta e confonde la stabilità presunta del mio universo.
Secoli di ragione, di logica, di scienza, ci hanno imposto un ordine, piantato paletti nella percezione della realtà. Ci hanno fatto credere che il modello razionale fosse l’unico possibile per contrastare la follia. L’universo artificioso che ci hanno configurato non è quello giusto, ma una dimensione angusta e falsa dentro la quale ci fa comodo vivere, o ci è necessario, perché la nostra ragione non sarebbe preparata a sopportare di più.
Devo cercare di ricomporre questo mio mondo. Avvicinandomi a quello meno sperimentato da altri. San Paolo mi parla di corpo psichico, che sta per astrale, eterico, doppio. Inizio da qui, da ciò che è dentro di me ma che in realtà mi contiene. Quest’energia che abbiamo addosso tutti ma in quantità così diversa, che cos’è? È quella che resterà intatta quando il corpo muore alla forma di vita che conosciamo (e quindi ha relazione con l’anima) ma dipende pure dai centri nervosi (vibrocentri) ed ha attinenza con l’energia dei medium, dei sensitivi, dei maghi, dei condottieri, dei profeti, in misura e qualità disuguali.
Quando una lampadina si rompe non finisce certo la corrente che la faceva accendere. Così l’energia che è in noi non si esaurisce con la vita fisica e questa nostra carica cambia di stato e di livello. Superata quella soglia, si aprono mondi inusitati, dalle parvenze terrene ma fatti col tessuto del mito e la trama delle fiabe, inondati di Luce o affondati nelle tenebre perenni.
Per noi tutti dopo la morte e per alcuni già in questa esistenza tramite le esperienze di confine, ci trasformiamo in sorgenti d’onde, cioè in energia spirituale, libera dalla materia, dalla primitiva forma sensoriale. Oltrepassata la soglia, spazio e tempo svaniscono e noi possiamo raggiungere ogni punto delle multidimensioni attraverso il principale predicato dell’anima: la volontà.

venerdì 12 settembre 2014

IL GRANDE IGNOTO: L'IMPERO CRISTIANO

IL GRANDE IGNOTO: L'IMPERO CRISTIANO: La vera Europa fu cristiana e fu qualcosa di più di un insieme di nazioni, di commerci, di culture. Un collante la rese unica e...

giovedì 14 agosto 2014

IL FIUME DELLA VITA



La vita è un fiume che ci attraversa, invisibile dalla riva dove noi ci troviamo. Come un fiume è tale perché costituito dall'acqua in movimento all'interno del letto che lo contiene, così per me la vita è reale soltanto se sono interamente animato dalla vibrazione sempre nuova che essa introduce nei movimenti di ogni livello di cui sono capace. Tali movimenti come quasi sempre avviene, possono essere causati da un impulso automatico a sua volta prodotto dal flusso vitale; ma io non posso chiamare "vita" l'insieme di manifestazioni da cui tale flusso è assente.
Quando esso è presente, allora la vita è una gioia, anche se dà sofferenza. Gioia nel senso di intensità, pienezza e distensione insieme, come se all'improvviso io riempissi tutto lo spazio che mi è stato assegnato, mentre di solito vagabondo in un mondo in cui sono perduto.
Ma una vita di questo tipo non viene data gratuitamente. Talvolta, con una certa intensificazione del sentimento, è possibile acquistarne a buon prezzo un surrogato, e molti se ne accontentano, non conoscendo nient'altro. In tal caso la vita "si vive" senza di noi, e vivere allora significa passare il tempo provando il maggior numero possibile di sensazioni preferibilmente piacevoli e cercando di scartare le altre, oppure significa dare ad alcune di esse una forza tale da far sì che il passaggio continuo della vita raggiunga un'intensità talmente elevata da ricevere il nome di Vita con la V maiuscola, mentre non è che il risultato dell'accelerazione momentanea di un processo identico ai precedenti: esperienza che ci allontana ancor più dalla vita reale.
E' la stessa cosa che anch'io troppo spesso continuo a chiamare vita. Dentro di me, la buona novella non è stata ancora annunciata ovunque, tuttavia è presente il bisogno di una vita diversa; e se con questo bisogno mantengo un certo contatto, talvolta scatta la vibrazione che cambia ogni cosa. Il mio interesse in questo momento è interamente rivolto alla ricerca degli elementi necessari a far apparire questa nuova sensazione di vita e all'atteggiamento interiore indispensabile per arrivarci. Ecco quanto ho capito: ciò che per me è incontestabilmente buono, profondamente vero, giusto, se accolto con un atteggiamento d'imparzialità, cioè senza il giudizio soggettivo della persona e nello stesso tempo con un'attenzione attiva, richiama la vibrazione che dà gioia e valore alla vita. E questo può succedere in qualunque momento.

mercoledì 4 giugno 2014

NON BISOGNA DORMIRE


Ho percorso un cammino verso Gesù, anche quando lo ignoravo, oltre le piste battute della tradizione codificata e ho scoperto per sottrazione il cristianesimo. Esso non è una terrificante obbedienza, né una placida eco della ragione, nemmeno un prolungamento simmetrico del nostro gesto morale, è un respiro non separato per alcuna pausa della nostra avventura terrena. Cristo è folgorata libertà e non vedo una seppur lucida ragione formale, ma prodigio vivo. L'esperienza cristocentrica è assorta lontananza cosmica, regale, e abbraccio fraterno intimo, atto redentivo e conoscenza secondo la carne. La storicità cristiana è violentemente irripetibile e non può sfaldarsi in postulati generali; la parola diventa gnosi, la realtà nozione. Lui non è canonizzabile, essendo vivente e non un feticcio come certa religione mediatizzata vorrebbe relegarLo. La Sua influenza spirituale compenetra la Chiesa e i suoi rami, tuttavia non può diventare suo ostaggio. Gesù mi trasmette la tensione a trasfigurarmi, un impegno continuativo al risveglio dello spirito. Egli agisce tramite me e tutti gli esseri a inondare con la Sua Luce taborica gli universi: ma dobbiamo agire da conduttori consapevoli. Questo ci chiede. Il resto viene da sé.
Ho scoperto così il Suo amore che è infinito. La vita è gioia e grazia. Ho imparato pure che bisogna svegliarsi e scendere dalle brande del comune vivere. Rifuggire da ogni tiepidismo esistenziale e farsi scaldare dalla fiamma che non brucia e sempre accesa di Cristo.

martedì 20 maggio 2014

GESÙ È IL PARADOSSO PIÙ GRANDIOSO CHE CONOSCA LA STORIA






Appare egli in una regione secondaria dell'Impero romano, presso una nazione che i dominatori d'allora definivano volentieri come la più tetra di tutte (Tacito) e perniciosa alle altre (Quintiliano), considerandola quale una spregiatissima accolta di schiavi (Tacito). Da questa sua gente egli non esce giammai in tutta la sua vita, né giammai mostra desiderio di conoscere il mondo dei sapienti, degli esteti, dei politici, dei guerrieri che hanno in pugno la società civile d'allora. Nella sua stessa regione egli passa almeno nove decimi della vita segregato in un umilissimo villaggio, proverbialmente noto soltanto per la sua meschinità: là non frequenta scuole, non maneggia dotte pergamene, non mantiene relazioni con lontani sapienti della sua nazione; fa soltanto il carpentiere. Per trent'anni nessuno sa chi egli sia, salvo due o tre persone mute al par di lui.

A un tratto, passati i trent'anni, esce in pubblico e comincia ad agire. Non dispone di mezzi umani di nessun genere: non ha armi, non denaro, non sapienza accademica, non potenza estetica, non argomenti politici. S'aggira poi quasi sempre fra povera gente, pescatori e contadini: cerca con particolare premura i pubblicani, le meretrici e gli altri reietti della buona società. Fra questa gente opera miracoli, in gran numero e di vario genere. S'associa un gruppetto di pescatori che lo seguono costantemente come suoi particolari discepoli. Agisce per meno di tre anni.
La sua azione consiste nel predicare una dottrina che non è né filosofica né politica, ma esclusivamente religiosa e morale. Questa dottrina è quanto di più inaudito sia stato affermato nel mondo. Sembrerebbe una dottrina costituita con gli scarti ripudiati concordemente da tutte le filosofie, con ciò che il mondo intero ha sempre in tutti i paesi gettato lontano da sé. Ciò che per il mondo è male, per Gesù è bene: ciò che per il mondo è bene, per Gesù è male. La povertà, l'umiltà, la sottomissione, il sopportare silenziosamente le ingiurie, il ritirarsi indietro per far posto agli altri, come sono sommi mali per il mondo così sono sommi beni per Gesù: e viceversa le ricchezze, gli onori, il dominio su altri, e tutte le altre cose che formano la felicità per il mondo, rappresentano per Gesù un discapito o almeno un pericolo gravissimo. Gesù è l'antitesi del mondo.

Il mondo infatti vede solo ciò che si scorge: Gesù invece afferma di vedere anche ciò che non si scorge. Il mondo vede esclusivamente la terra, e la vede dal basso: Gesù invece vede specialmente il cielo, e contempla la terra dal cielo. Per Gesù la terra non ha senso in se stessa, è un episodio doloroso e transitorio che non contiene in sé una soluzione adeguata: per lui la terra si risolve adeguatamente nel cielo e riceve senso soltanto dal cielo. La vita presente in tanto ha valore in quanto è preparazione a una vita futura: è una dimora faticosa e instabile, ma che ha valore come punto d'appoggio da cui spiccare il volo verso una dimora gioiosa e stabile. Gli inquilini della dimora instabile che ripongono tutte le loro speranze in essa e non vogliono distaccarsi da essa, costituiscono il regno del mondo; gl'inquilini invece che dimorano in essa anelando alla dimora stabile e preparandosi a spiccare il volo verso questa, costituiscono il regno di Dio.

… La forza d'ambedue i regni consiste in due amori, per due oggetti differenti. I sudditi del regno del mondo amano soltanto se stessi, o ciò ch'è utile e piacevole a se stessi: per tutti gli altri esseri della terra e del cielo essi hanno o formale odio o fredda noncuranza. I cittadini del regno di Dio amano in primo luogo Dio, poi scendendo giù giù lungo la gerarchia degli esseri hanno particolare amore per gli uomini malefici o disutili, e cercano di fare il bene a chi fa il male o non sa fare il bene: per essi il dare è un guadagnare, e perciò non conoscono l'odio. Di questo regno di Dio, che ha per sua forza l'amore di Dio e degli uomini, Gesù è il banditore.
Il regno di Dio è quello preannunziato dagli antichi profeti d'Israele, il cui annunciatore sarebbe stato il Messia promesso al popolo eletto. Gesù nel predicare la sua dottrina ha coscienza di agire come Messia; tuttavia non si dichiara tale fin dal principio per evitare che le turbe, tutte vibranti di speranze messianico-politiche, lo accolgano come condottiero nazionale e interpretino la sua dottrina come un proclama politico.

Difficilissima è quindi la sua missione: egli deve ammaestrare folle su argomenti che saranno indubbiamente fraintesi, giacché quando egli parlerà di vittoria sul male le folle intenderanno la vittoria sui Romani e quando nominerà il regno di Dio intenderanno il reame d'Israele. Eppure egli deve parlare di quegli argomenti ed usare quei precisi termini, perché essi sono già fissati nelle sacre Scritture del popolo di Dio: e Gesù, come Messia, è venuto a compiere quelle Scritture non ad abolire, ad integrare non ad abbattere. La sua missione è rivolta direttamente al solo popolo eletto depositario delle antiche promesse di Dio; tuttavia, quando siano adempiute quelle promesse, gli effetti della sua missione s'effonderanno su tutti i popoli della terra.

A tale scopo egli istituisce una società stabile, la Chiesa. Ma la maggior parte del popolo eletto non accoglie la sua predicazione, e i più ostili contro di lui sono appunto i dirigenti di quel popolo, ossia i sommi sacerdoti dal Tempio e i Farisei dalle sinagoghe. Nella Galilea la sua operosità produce scarsissimi frutti, e perciò egli l'abbandona e si trasferisce nella Giudea e nella capitale Gerusalemme. Qui i frutti non sono maggiori che nella Galilea, mentre assai maggiori sono le ostilità incontrate. I sommi sacerdoti e i Farisei sono convinti della sua potenza taumaturgica, e su molti punti della sua dottrina non dissentirebbero da lui: non gli perdonano però la sua franchezza nel denunziare le ipocrisie dei ceti dirigenti e la sua fermezza nel condannare il vacuo formalismo che inaridisce la vita religiosa. Dopo averlo tollerato a malincuore per qualche tempo, lo arrestano a tradimento, lo condannano nel tribunale della nazione per imputazioni religiose, e lo fanno ricondannare nel tribunale del rappresentante di Roma per imputazioni civili.

Gesù muore crocifisso.
Dopo tre giorni i condannatori sono convinti che egli è risorto. I discepoli dapprima non ne sono convinti; ma in seguito si arrendono all'evidenza, avendolo visto e toccato con mano più volte e avendo parlato con lui come avevano fatto prima della sua morte.

Ma il paradosso di Gesù continua, tale quale, anche dopo la sua morte. Come egli nella sua prima vita è stato l'antitesi del mondo, così l'istituzione da lui fondata continuerà ad essere nella maniera più inverosimile la negazione del mondo.
Nessuna risonanza egli ha lasciato negli alti ceti della società contemporanea: in tutto l'Impero romano gli storici lo ignorano, i sapienti non conoscono le sue dottrine, gli uomini di governo hanno tutt'al più annotato nei registri la morte di lui come di uno schiavo rivoluzionario e non ci hanno pensato più; gli stessi maggiorenti della sua nazione, soddisfatti della sua scomparsa, sono dispostissimi a dimenticarlo del tutto. L'istituzione di lui sembra ridotta nello stato d'agonia in cui si trovava il corpo di lui quand'era inchiodato sulla croce: di fronte all'istituzione di Gesù sta il mondo a contemplare da trionfatore quell'agonia, come da trionfatori erano stati i sommi sacerdoti ai piedi della croce di lui.

E invece, con un balzo repentino, l'istituzione agonizzante sorge ed avvince fra le sue braccia il mondo intero: passano bensì tre secoli fra persecuzioni e stragi, e sembrano tre secoli che prolunghino l'agonia della croce o che rinnovino i tre giorni della dimora nel sepolcro, ma dopo il terzo secolo la società civile è ufficialmente seguace di Gesù. Il regno del mondo non è però debellato, e la guerra prosegue con folle alquanto mutate ma con la stessa tenacia di prima. Gesù, ossia la sua istituzione, diventa sempre più nella storia della civiltà umana il «segno di contraddizione». La sua paradossale e gravosissima dottrina è accettata da infiniti uomini e praticata da essi con amore immenso fino all'ultimo sacrificio: infiniti altri uomini la respingono con tenacia inflessibile e la odiano con avversione furibonda. Si direbbe che attorno a questo «segno di contraddizione» siano concentrati gli sforzi della parte più civile del genere umano, gli uni per esaltarlo gli altri per calpestarlo.

Nella furiosa battaglia avvengono anche insidie e simulazioni: spesso appaiono schiere che agitano vessilli ricopiati dal « segno di contraddizione », e innalzando grida intonate ai precetti di Gesù proclamano fratellanze ed altruismi ignoti ai sudditi del mondo; ma l'insidia non regge a lungo e la simulazione finisce per tradire la diversità di voce e di accento.

Certo è che Gesù, oggi, è più vivo che mai fra gli uomini. Tutti hanno bisogno di lui, o per amarlo o per bestemmiarlo: ma farne a meno non possono. Molti uomini furono amati intensissimamente nei tempi andati. Socrate dai suoi discepoli, Giulio Cesare dai suoi legionari, Napoleone dai suoi soldati: ma oggi questi uomini sono inesorabilmente trapassati, nessun cuore palpita più per le loro persone, nessun uomo darebbe la sua vita o anche solo le sue ricchezze per essi, anche se i loro ideali siano ancora propugnati da altri; se poi i loro ideali siano avversati, nessuno pensa a bestemmiare né Socrate né Giulio Cesare né Napoleone, perché le loro persone non hanno più efficacia e sono trapassate. Gesù, no; Gesù è tuttora amato e tuttora bestemmiato; si rinunzia tuttora alle ricchezze e perfino alla vita sia per suo amore sia anche per odio contro di lui.

Nessun vivente è tanto vivo quanto Gesù.

Egli è « segno di contraddizione » anche come fatto storico. È vero che i grandi storici del gran mondo ufficiale d'allora lo ignorano: ciò è regolare, perché quegli storici abbagliati dal fulgore della Roma d'Augusto non avevano l'acutezza di vista - e neppure i documenti storici - per rintracciare un oscuro barbaro di una spregiatissima accolta di schiavi. Ma ciò non vuol dire che la figura di Gesù sia storicamente meno documentata e sicura di quella di Augusto e dei suoi più famosi contemporanei. Certamente sarebbe oggi nostro ardente desiderio sapere di lui molte più cose di quelle che sappiamo; ma se troppo poche per il nostro desiderio sono le cose narrateci, in compenso gli scrittori che le narrano godono di primissima autorità. Di questi quattro scrittori, due sono testimoni oculari che rimasero a fianco di Gesù giorno e notte per quasi tutta la sua vita pubblica; gli altri due conobbero e interrogarono ampiamente testimoni di tal fatta. Tutti e quattro, poi, narrano con semplicità e rudezza preziose, e con quella « impassibilità » davanti ai fatti sia piacevoli sia atroci la quale non rinnega affatto l'adesione ma sa elevarsi più in alto di essa. Senza dubbio i quattro scrittori hanno scopo di propaganda, perché mirano a far conoscere la figura di Gesù e a diffondere la fede in lui; ma appunto per raggiungere tale meta era necessario seguire la strada dell'obiettività e veracità, allorché migliaia di testimoni interessati potevano sorgere e contestare narrazioni che fossero state fantasiose e tendenziose. La garanzia storica che noi abbiamo per i fatti e per le dottrine di Gesù non è uguagliata neppure da quella per Augusto e i suoi più famosi contemporanei.

Ma anche qui, come nel resto, il « segno di contraddizione » è contraddetto. Il Gesù presentatoci dai quattro storici non è vero, non può esser vero, perché è soprannaturale: bisogna ridurre razionalmente la sua figura delineata dagli evangelisti a proporzioni naturali, spogliandola del miracoloso. È il programma della critica razionalista. Comincia il Reimarus, ed afferma che gli evangelisti sono volgari ciurmadori e mentitori.

- Segue il Paulus e difende gli evangelisti: essi sono in perfetta buona fede, soltanto che sono degli entusiasti inesperti e non comprendono bene ciò che vedono.

- Continua lo Strauss : gli evangelisti non pretendono narrare vera storia ma solo espongono dei miti, dei concetti astratti espressi in forma di fatti storici.

- Il Baur vede le cose diversamente: i racconti evangelici sono il risultato di contrasti nella vita sociale della Chiesa e contengono ben poco di storico.

- Anzi, soggiunge poco dopo il Bauer, non contengono nulla affatto di storico, e Gesù non è mai esistito ma è una creazione mitica.

- Viene poi la Scuola liberale, per cui Gesù è una specie di pastore protestante, predicatore rugiadoso di una morale di pietà per gli uomini e di sentimento religioso per Iddio.

- Ma si fa avanti la Scuola escatologica, e trova che Gesù è un visionario esaltato il quale scorge imminente la fine del mondo, e perciò predica la sua paradossale dottrina di rinuncia e d'abnegazione.

- Si ritorna infine all'idea del Bauer, e si afferma che Gesù è un essere mitico giammai esistito sulla faccia della terra.

Ebbene, tutte queste varie interpretazioni sorgono immancabilmente per reazione dell'una contro l'altra, e quella posteriore rinnega in pieno ciò che ha detto quella anteriore. In un solo punto esse s'accordano perfettamente fra loro, ed è nel sostenere che i racconti evangelici non corrispondono alla realtà storica e quindi che il Gesù della tradizione è falso.

Di qui una conseguenza pratica eloquentissima. Se il Gesù della tradizione è falso, e se d'altra parte ancora non si è trovato il modo di dimostrare in qual maniera e misura sia falso, ne consegue che una biografia scientifica di Gesù oggi non si può scrivere. E di fatti così avviene: le grandi Vite di Gesù di cui fu feconda specialmente la Scuola liberale oggi non compaiono più, e tutt'al più si delineano brevissimi schizzi della figura di Gesù in cui i tratti sicuramente storici sono ridotti a quasi nulla. Un Gesù storico evanescente e inafferrabile, somigliantissimo in pratica al Gesù del tutto mitico: ecco l'ultima parola della critica razionalista applicata ai vangeli.

Ora, tutto ciò non è che un episodio della millenaria lotta fra Gesù e il mondo. Dicemmo che la lotta non cesserà se non quando uno dei due avversari abbia totalmente debellato l'altro: perciò il mondo debella Gesù nel campo storico cancellando quanto più può la sua figura.
La tattica è vecchia. Anche i Farisei volevano cancellare di Gesù tutto quanto, fatti, dottrine e istituzione; perfino della sua fredda salma ebbero essi paura, e la sigillarono nella tomba collocandovi davanti delle guardie. Dopo i Farisei mille altre volte Gesù è stato cancellato dalla faccia della terra é sigillato nella tomba, e a seconda dei tempi sono stati collocati davanti la sua tomba a far la guardia lo Stato o la Religione, la Filosofia o la Scienza, la Democrazia o l'Aristocrazia, il Proletariato o la Nazione.

Ma che è avvenuto nel passato? Che avverrà nel futuro?

I vangeli narrano che il Gesù sigillato nella tomba dai Farisei è risorto. La storia narra che il Gesù ucciso in seguito mille volte si è dimostrato ogni volta più vivo di prima. Ora, trattandosi della stessa tattica, v'è ogni motivo di credere che lo stesso avverrà al Gesù rimesso in croce dalla critica storica.
Questi critici, infatti, sono privi d'ogni originalità: non fanno che ripetere la stessa e medesima tattica, ricopiare gli stessi e medesimi metodi. Hanno plagiato il metodo dei Farisei: hanno plagiato anche il demonio.

Il Renan, appena narrata la morte di Gesù, si esprime così: Riposa nella tua gloria, o nobile iniziatore! La tua opera è compiuta, è fondata la tua divinità. Non temere più di veder crollare per qualche errore l'edificio che hai eretto; d'ora in poi, immune da fragilità, tu assisterai dall'alto della pace divina alle conseguenze infinite dei tuoi atti... Per migliaia d'anni il mondo obbedirà a te: bandiera delle nostre contraddizioni, tu sarai il segno attorno a cui si combatterà la più fiera battaglia. Mille volte più vivo, mille volte più amato dopo la tua morte che nei giorni del tuo passaggio quaggiù, tu diverrai la pietra angolare dell'umanità a tal punto che strappare il tuo nome dal mondo sarebbe lo stesso che scuoterlo dalle fondamenta. Fra te e Dio non si distinguerà più, ecc. ecc.

Ora, questa è pura retorica: è una semplice tirata oratoria che non ha né sincerità né sentimento vero…

E la lotta attorno al « segno di contraddizione » continuerà, fino a che siano su questo mondo i figli dell'uomo.


Giuseppe Ricciotti. Vita di Gesù. Tipografia Poliglotta Vaticana, Pasqua 1941

mercoledì 26 febbraio 2014

Chiudi gli occhi se vuoi vedere

È tempo di risvegli. Lontani da moli conosciuti. Attaccarsi al noto è più rischioso che battere nuovi sentieri. Le antiche strutture sembrano tramontare; alcune sono sgretolate. È tempo di risveglio, sì, ricercando quel quid interfacciale che unisce/separa il soma dal metasomatico. Chiudi gli occhi, abbandonati al flusso ininterrotto dei pensieri che poi si esauriscono, se li lasci andare. Chiudi gli occhi e fermati, immobile: da lande lontanissime si avvicina una forza. Chiudi gli occhi, non serrarli ancora...