Libera lo splendore prigioniero. Il tentativo è quello di attivare delle volontà, di far partire una scintilla che, raccolta da chi ci segue, crei una scarica permanente, un flusso. Verrà il momento in cui tutti gli sconvolgimenti cosmici si assesteranno e l’universo si aprirà per un attimo, mostrandoci quello che può fare l’uomo.

giovedì 30 ottobre 2008


O Capitano, mio Capitano!

Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino, noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni necessarie al nostro sostentamento, ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita. Citando Walt Whitman: “O me, o vita! Domande come queste mi perseguitano, infiniti cortei d'infedeli, città gremite di stolti. Che v'è di nuovo in tutto questo? O me, o vita!”. Risposta: che tu sei qui, che la vita esiste e l'identità, che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso.
È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva, anche se può sembrarvi sciocco o assurdo, ci dovete provare.
Quando leggete non considerate soltanto l'autore, considerate quello che voi pensate. Figlioli dovete combattere per trovare la vostra voce, più tardi cominciate a farlo, più grosso è il rischio di non trovarla affatto. Thoreau dice: “Molti uomini hanno vita di quieta disperazione". Non vi rassegnate a questo, ribellatevi, non affogatevi nella pigrizia mentale, guardatevi intorno. Osate cambiare, cercate nuove strade.
Ci teniamo tutti ad essere accettati ma dovete credere che i vostri pensieri siano unici e vostri, anche se ad altri sembrano strani e impopolari, anche se il gregge può dire : "Non è behhh!". Come ha detto Frost: “Due strade trovai nel bosco ed io, io scelsi quella meno battuta, ed è per questo che sono diverso”. Andate pure controcorrente.
C'è un tempo per il coraggio e un tempo per la cautela, ed il vero uomo sa come distinguerli.
“Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita, e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto” (H. D. Thoreau).

Così insegnava il Prof. Keating nel film di Peter Weir, “L'attimo fuggente”. Il pur transitorio ministro Gelmini comprende cosa significa educare, formare, trasmettere?

mercoledì 29 ottobre 2008


LA BATTAGLIA DELLE IDEE

Cerchiamo di chiarirci insieme quel che ci proponiamo di realizzare attraverso questo blog. Il tentativo è quello di attivare delle volontà, di far partire una scintilla che, raccolta da chi ci segue, crei una scarica permanente, un flusso. Vogliamo raccogliere delle esperienze e metterle alla portata di tutti; perché ognuno vi contribuisca come può e si crei un embrione organizzato di mondo “ nostro” , coi suoi codici, le sue caratteristiche, il suo modo di essere. Si tratta di realizzare l’ alternativa dopo averla sterilmente inseguita per anni al puro livello concettuale. Pigrizia e vittimismo sembrano essere divenute due “ doti” di fondo di chi si accosta
al nostro ambiente spirituale e tradizionale. Dobbiamo, dovete reagire; prendere contatto, muovervi, partecipare. È la sola via per far si che l’ emarginazione cui questo mondo ci condanna come diversi, agisca positivamente sulla nostra pelle, consentendoci di vivere la crisi in prima
persona e di venirne fuori. Ragazzi e ragazze, giovani e meno giovani, militanti e non, sono chiamati a creare questo mondo in cui ci si debba sentire per forza out, e non si sia condannati a seguire, impotenti, la dispersione ciclica e il recupero da parte del mondo borghese. Ma è questa la via, la sola che consente di sfuggire alle mille trappole del sistema.

martedì 28 ottobre 2008


'68

«I porti invecchiano/ Venezia è sempre da salvare/ L’Inps assediata/ Gli statali in sciopero/ L’edilizia in crisi/ Gli ortofrutticoli danneggiati dal Mec/ Il turismo regredisce/ Le acque sono inquinate/ I treni ritardano/ La circolazione in crisi/ Lo sciopero dei benzinai/ Gli studenti preparano la protesta/ Rivolta nelle carceri/ La riforma burocratica ferma/ Napoli paralizzata/ Sciopero dei netturbini/ La crisi del latte/ La pornografia in crisi/ Il divorzio è in crisi/ Crisi dell’istituto familiare/ I giovani non si sposano più/ La torre di Pisa ancora in pericolo/ Il porto di Genova paralizzato/ I telefoni non funzionano/ Posta che non viene distribuita/ La crisi dei partiti/ La crisi delle correnti dei partiti/ Lo Stato arteriosclerotico/ Il Mezzogiorno in crisi/ Le regioni in crisi/ Il comune di Roma aumenta il disavanzo/ Ferma la metropolitana a Roma/ Duello di artiglierie a Suez/ I colloqui di Parigi stagnano/ I cinesi preparano una sorpresa?/ I negri preparano la rivolta?/ Gli arabi preparano la guerra?/ I russi nel Mediterraneo/ La sinistra in crisi/ La destra in crisi/ Il centro-sinistra in crisi/ Fine del parlamentarismo?/ Il freddo ritorna». Nel 1968 di Ennio Flaiano: quarant’anni e non sentirli.

LA SCIENZA A CACCIA DI DIO

Udite gente, udite. La Scienza sarebbe ad un passo dal grande evento: salire in cielo e strappare i segreti dalle mani di Dio. Come? Scoprendo il Bosone di Higgs, ma sarebbe meglio chiamarlo il Borsone di Higgs perché diventerà il contenitore di tutti i sogni infranti degli scienziati. Sempre secondo i ben informati, saremmo vicini a catturare quella particella di Dio che crea la materia. Saremmo giunti al limite supremo, quello che ci permetterà di svelare il grande segreto dell'Universo. Mah.
Piuttosto, quanto si è speso per realizzare in un colossale tunnel sotto Ginevra (27 km di circonferenza) l'ormai famoso Large Hedron Collider, il mostruoso uroboros capace di cogliere sul fatto Dio a fabbricare l'universo? Ottanta miliardi di euro! E noi paghiamo...
Pericoli? Non vi preoccupate, non date credito agli allarmismi. Non ci saranno buchi neri nel bel mezzo dell'Europa. Il buco nero avverrà solo nel bilancio del CERN, perché il Bosone di Higgs non verrà trovato. Gli scienziati che affollano il Cern di Ginevra in questi giorni, dovranno presto rimettere in frigo le bottiglie di champagne e riconvertire la nuova Torre di Babele in una gardaland della fisica subatomica. Saranno stati buttati sforzi enormi ed enormi risorse. Ma forse non ho messo in conto il fatto che, considerati gli interessi in campo, i produttori di LHC chiamerebbero "particella di Dio" anche un cicalone malcapitato di passaggio nel tunnel. L'esperimento sarà comunque un flop. Forse il più tragico flop che storia umana ricordi. E sapete perché? Perché si sta cercando nella direzione sbagliata e con un'errata impostazione filosofica, un'errata visione del mondo. Cosa c'entra la filosofia con la scienza? C'entra eccome! Se ho, per esempio, una rigida impostazione materialistica (posizione filosofica comune a moltissimi scienziati) sarò convinto che tutto è materia e tutto dipende dalla materia. E cercherò affidandomi alla materia. Si vede ciò che si crede.
È precisamente quello che sembra esserci alla base della teoria del fisico Higgs: se gli atomi esistono e un pezzo di materia si tocca e in mano ci pesa, a farla pesare potrebbe essere una particella speciale che è dentro tutti gli atomi. Appunto quella "particella speciale" che al Cern si propongono di catturare. Dalla materia la materia. Non si scappa. Gli scienziati hanno la loro idea molto materialistica dell'atomo. Il problema è che non è l'idea giusta.
È un po' quello che avviene con l'evoluzionismo, il cui rigido dogma è che tutto l'esistente è come è in quanto risultato di una combinazione di materia, caso e selezione naturale. Però, guarda caso, non si trovano gli anelli di congiunzione tra le varie specie. Anche lì gli scienziati stanno cercando il loro "bosone", ma non lo trovano. E non lo troveranno mai.
La particella di Dio, per questi signori della Scienza, è da tempo fuori catalogo, e non c'è verso di trovarla nemmeno da Ikea, zona Bufalotta, Roma.

lunedì 27 ottobre 2008


IN FONDO A DESTRA
Oggi ormai l’espressione “fascista” dà l’idea di trasgressione, di massima libertà. Come dare un pugno nell’occhio del prossimo. Ma non sono fascista. Leggevo Evola che dal fascismo mi allontanava piuttosto che avvicinarmi. Lui criticava alcuni lati populisti, tribunizi, demagogici del fascismo. Predappio, il saluto romano, eja eja alalà...Tuttavia, usando categorie obsolete sono di destra. Do importanza alla tradizione, alle radici, alle origini, alla famiglia. Non sono un cattolico praticante ma ho un senso religioso, meglio, un senso sacro della vita. Vengo subito all'attualità.
An ha preso il peggio della destra e non il meglio. Oggi è andata oltre: naviga nel nulla. Fini è riuscito a depistare il proprio elettorato. Prima i nostalgici, poi i cattolici, poi i conservatori. È inseguito dai suoi elettori e fa di tutto per non essere raggiunto. Nemmeno la svolta di Fiuggi mi è piaciuta. Fu fatta male. Fini si liberò del fascismo come di un calcolo renale. Scelse la via urinaria al post-fascismo. Oggi? Questo governo ha fatto anche cose buone, sebbene formulate male e applicate peggio. Ma nulla che faccia pensare che An è stata al governo. Nessuno in realtà fa o dice cose di destra. La destra è sede vacante. Tutto si ferma nei pressi di un centro moderato. Non voglio morire democristiano...

QUESTIONE DI STILE
"...Essere di destra, essere (stati) fascisti per vocazione risorgimentale, perciò romana e italica, è una dura responsabilità da indossare. Hegel diceva che il fatto d'avere del cuoio tra le mani, e nel piede la misura d'una scarpa, non rende di per sé un calzolaio chi non ne conosca l'arte.
Il fatto di avere genericamente a cuore la sorte della Patria e nella bocca parole di conservazione o autoritarismo intermittente non significa di per sé essere uomini di destra. Prima bisogna darsi uno stile. Ecco tutto. Se non si vuole scomodare il patriziato antico, basterebbe la proposizione d'un francese migliore di Sarkozy: "Le style c'est l'homme". Henry de Montherland.
Allora ricominciamo da una lettera scritta dall'infrequentabile (per Fini e i suoi) Julius Evola nell'estate del 1955. Il filosofo si rivolge a un giovane siciliano in cerca di consigli per "rimanere in piedi tra le rovine", senza necessariamente escludere l'opzione della politica. Evola risponde: "In prima linea, comunque, dovrebbe stare l'impegno della sincerità, della lealtà e dell'assoluta aderenza ad ogni impegno, a ogni parola data, nel piccolo (vita pratica, appuntamenti, scrivere o telefonare) ancor più che nel grande". In apparenza sono banalità, ma a guardarle seriamente sono consegne spaventose, perciò dai molti vengono derise o fuggite come un pessimo presentimento. Dice: ma cosa c'entra tutto questo con l'essere di destra? Risposta: ma l'uomo di destra, prima ancora di coltivare un qualunque concetto astratto, non doveva essere colui che osserva la decadenza circostante, l'impazzimento del termitaio umano abbacinato dal progresso, opponendogli un tratto di nobiltà (d'animo) creatrice?
...Vivere alto...non rappresentare alcuna classe sociale definita...puntare lo sguardo alla totalità e all'immutabile, se non allo spirito. De minimis: darsi una regola interiore, una verticalità, non sbracare come tutti gli altri, marcare una distanza lavorando su di sé.
In ogni fascista tardonovecentesco si nasconde una personalità edotta sull'obbligo di cementare una tenuta interiore, uno stile, appunto, una rettitudine speciale riflessa nella forza di un pensiero che travalica la parzialità della definizione politica. Raggiunta questa, non serve più definirsi fascisti.
Allora sei fascista? Per quel tanto che il fascismo, prima di naufragare o imbarbarire, a seconda di come lo guardi, era stato vicino a questo ethos omerico ereditato dal patriottismo della Grande guerra e dalla riconquista risorgimentale. E così via toccando l'impassibilità celeste del Buddha, l'eroismo cavalleresco, il sacrificio delle Termopili. Fino a risalire alle origini, o per lo meno al res non verba dei romani, alle loro Dodici tavole, alla loro prescrizione insopprimibile scolpita da Cicerone nel De legibus: "Sacra privata perpetuo manento", il culto privato resti vivo per sempre."
tratto da Il passo delle oche. L'identità irrisolta dei postfascisti,
di Alessandro Giuli, edito da Einaudi

Ringrazio Alessandro Giuli per queste parole. Lo ringrazio per un libro che è un atto d'amore nei confronti della Destra, come pochi sono stati in grado di intenderla e di viverla. Lo ringrazio per il coraggio e per la chiarezza. Per i sorrisi sarcastici, la riflessione profonda e i ricordi commossi. Lo ringrazio per un libro che è una lezione di stile. Anche letterario.

LIBERA RICERCA DELLA VERITÀ

La condizione di ogni uomo è di conoscere la siepe dei suoi limiti che gli impediscono
di vedere oltre.
La percezione di una realtà “altra” è avvertita nella dimensione spirituale che fa parte
della natura umana.
Il cuore ha paura perché noi siamo piccolissime creature rispetto alla vastità che ci circonda,
ma se volgiamo lo sguardo dentro noi stessi, al nostro interno, allora potremmo rimanere
stupefatti e senza fiato e piangere di gioia riconoscendo l’immensità della nostra anima.

Perché non esistono luoghi lontani, ma solo spazi mentali.

Francy Molinelli

domenica 26 ottobre 2008


HSING NUNG IL POPOLO STELLARE

Un popolo enigmatico è quello degli Hsing Nu, dei quali pochissimo sappiamo tuttora, se non che praticavano una curiosa forma di religione astrale, per cui sono stati definiti «adoratori delle stelle». Di loro, e del mistero che li avvolge e che avvolge specialmente la loro fine, ha parlato - tra gli altri - anche il pioniere dell'archeologia spaziale in Italia, Peter Kolosimo, in uno dei suoi libri più famosi e intriganti, Terra senza tempo (Sugar Editore, Milano, 1964, 1972, pp. 84-86), nei seguenti termini:
 
Gli Hsinhg Nu non erano certo contraddistinti da un alto livello civile, ma, per molti versi, le testimonianze indirettamente pervenuteci sui loro monumenti c'indurrebbero a pensare il contrario: ci troviamo di fronte , insomma, ad uno dei tanti inspiegabili contrasti propri alle antiche culture.
Gli Hsing Nu abitavano una regione del Tibet settentrionale, a sud della grandiosa catena del Kun Lun, una zona ora desertica, in gran parte inesplorata. Non erano d'origine cinese: si pensa fossero arrivati laggiù dalla Persia o dalla Siria; i rinvenimenti effettuati, infatti, ci riportano ad Ugarit e, in particolare, alle raffigurazioni del dio Baal, dal lungo elmo conico e dal corpo ricoperto d'argento.
Quando, nel 1725, l'esploratore francese padre Duparc scoprì le rovine della capitale degli Hsing Nu, quel popolo, annientato dai Cinesi, apparteneva già da secoli alla leggenda. Il monaco poté ammirare i ruderi d'una costruzione nel cui interno s'ergevano più di mille monoliti che dovevano un tempo essere rivestiti con lamine d'argento (qualcuna, dimenticata, dai predatori, era ancora visibile), una piramide a tre piani, la base d'una torre di porcellana azzurra ed il palazzo reale, i seggi del quale erano sormontati dalle immagini del Sole e della Luna. Duparc vide ancora la 'pietra lunare', un masso d'un bianco irreale, circondata da bassorilievi raffiguranti animali e fiori sconosciuti.
Nel 1854 un altro francese, Latour, esplorò la zona, rinvenendo alcune tombe, armi, corazze, vasellame di rame e monili d'oro e d'argento ornati con svastiche e spirali. Le missioni scientifiche che, più tardi, si spinsero laggiù, reperirono soltanto qualche lastra scolpita, avendo la sabbia, nel frattempo, seppellito i resti della grande città. Fu nel 1952 che una spedizione sovietica tentò di portare alla luce almeno una parte dei ruderi. Gli avventurieri della scienza si sottoposero  a un lungo, massacrante lavoro, senza poter contare su strumenti adeguati, il cui trasporto in quelle regioni appariva impossibile; purtroppo essi riuscirono soltanto a strappare al deserto l'estremità d'uno strano monolite aguzzo, che sembrava la copia identica di quello della città morta africana di Simbabwe, con alcuni graffiti.
Dai monaci tibetani, però, gli studiosi russi appresero vita, morte e miracoli degli Hsing Nu. Furono loro mostrati antichissimi documenti in cui la piramide a tre piani era descritta sin nei minimi particolari. Dal baso all'alto, le piattaforme avrebbero rappresentato «la Terra Antica, quando gli uomini salirono alle stelle; la terra di Mezzo, quando gli uomini vennero dalle stelle; e la Terra Nuova, il mondo delle stelle lontane».
Che cosa significano queste parole sibilline? Vogliono forse dirci che gli uomini raggiunsero chissà quale pianeta in un passato senza ricordo, che tornarono poi al loro globo d'origine e che, alfine, non ebbero più modo di comunicare attraverso lo spazio? Non lo sapremo probabilmente mai, ma i Tibetani pensano che sia in effetti così., affermano che quel popolo cercò nella religione il proseguimento dei viaggi cosmici, cullandosi nella credenza che le anime dei defunti salgano in cielo per trasformarsi in astri.
Interessantissima è la descrizione dell'interno del tempio, che collima in parecchi punti con quella resa da padre Duparc. Su un altare - rivelano le vecchie cronache tibetane - era posta la «pietra portata dalla Luna» («portata», non «venuta»;non si sarebbe trattato, quindi, d'una meteorite), un frammento di roccia d'un bianco latteo, circondato da magnifici disegni rappresentanti la fauna e la flora della «stella degli dei». E dei monoliti a forma di fusi sottili, rivestiti d'argento. Sono animali e piante d'un pianeta colonizzato da cosmonauti preistorici, monumenti eretti a simboleggiare le loro astronavi?
Prima d'un «cataclisma di fuoco», gli Hsing Nu sarebbero stati civilissimi ed avrebbero coltivato diverse straordinarie  scienze, le stesse che sono ancor oggi vive fra i Tibetani: essi sarebbero stati non solo in grado di «parlarsi a distanza», ma addirittura di comunicare con il pensiero attraverso lo spazio. Gli individui sopravvissuti alla catastrofe sarebbero precipitati nella barbarie, non conservando dell'antica grandezza che il ricordo deformati dalla superstizione.

Leggende, favole, superstizioni?
Forse.
Tuttavia, noi sappiamo che le leggende non nascono mai per caso: si tratta solo di avere l'umiltà e la perseveranza di continuare a scavare intorno ad esse, con mente sgombra da pregiudizi scientisti, per veder riemergere, poco alla volta, il fondo di verità da cui sono nate.

Siamo in buone mani.

L'eroe dai mille volti.

Il ritorno degli esuli.

APPUNTI DI VIAGGIO PERSONALI


Non ho cercato nella direzione del sonno e dell'infracoscienza, ma all'esterno opposto: nella direzione dell'ultracoscienza e della veglia superiore.

Non cerco di disorientare, non esploro i lontani sobborghi della realtà; al contrario, tento di collocarmi al centro. Proprio al centro della realtà l'intelligenza, per poco che sia iperattivata, scopre il fantastico. Un fantastico che non invita all'evasione, ma piuttosto ad una più profonda adesione.

Generalmente il fantastico viene definito come una violazione delle leggi naturali, come l'apparizione dell'impossibile. Per me non è affatto questo. Il fantastico è come una manifestazione delle leggi naturali, un effetto del contatto con la realtà quando essa viene percepita direttamente e non filtrata attraverso il velo del sonno intellettuale, attraverso le abitudini, i pregiudizi, i conformismi.

Il corpo dell’uomo vuole cibo, la mente assiomi, l’anima l’estasi.

Mi sento capace di intuire qualcosa di quello che può essere la vita di un uomo che riferisce tutto alla sephirot, al divino che si materializza nelle minime cose, nel modo di riversare l’acqua per lavarsi le mani prima del pasto.

L’unica via per riacquistare fiducia e naturalezza in un’epoca completamente straniata dalla natura sia chiedere più a se stessi che agli altri, far leva sul proprio senso dell’equilibrio, non cedere alle ciarle di moda o alle mezze verità.

La situazione odierna non facilita di fatto la scoperta di un aggancio psichico-intellettuale, perché non esiste un’idea che si sottragga all’indeterminatezza, alla vacuità, all’equivoco. Ritengo che si possa aver fede in poche ma sicure realtà: il desiderio di una vita più equilibrata, e la convinzione che la crisi dell’uomo moderno e della sua cultura è fondamentalmente una crisi di fiducia. È infatti innata nell’uomo la necessità di ruotare fiduciosamente intorno a un punto stabile.

…l’uomo ha bisogno di certezze e di deduzioni, di cause finali e d’un centro su cui ruotare come un pianeta intorno al sole. Egli è assai simile alle carpe che godono e s’irrobustiscono ad avere una pietra posata al centro del loro specchio d’acqua, intorno a cui volgere giri su giri armoniosi.

…i simboli non significano, perché come figure pre-logiche, sfuggono allo schema concettuale che costituisce la violenza prima di ogni commento. I simboli non “significano” perché non sono “significati” ma “forze”. I simboli agiscono.

L’idea di vocazione è l’unica che ciascuno debba e possa attuare.

Dio ha cominciato a dirmi le mille cose che non gli avevo mai consentito di dirmi ed è stato un tempo di prodigi.

APPUNTI DI VIAGGIO

"Credo nei valori del radicamento, della identità e della libertà; nei valori che nascono dalla tutela della dignità personale. Sono convinto che la vita non può ridursi allo scambio, alla produzione o al mercato ma necessita di dimensioni più alte e diverse. Penso che l'apertura al sacro e al bello non siano solo problemi individuali. Credo in una dimensione etica della vita che si riassume nel senso dell'onore, nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto del compromesso sistematico e nella certezza che esistano beni superiori alla vita e alla libertà per i quali a volte è giusto sacrificare vita e libertà"
MARZIO TREMAGLIA

“C’è in Italia un po’ di gente, gente giovane, e cominciano ormai a conoscersi e a contarsi, che non si sente nata a far da fedelissimo a nessuno; che saggia, sonda, sposta la visuale, rasenta a volte l’eresia, e preferisce lo sbagliarsi al dondolarsi tra gli agevoli schemi; che parla un linguaggio proprio e ha proprie e ben riconoscibili idee; che considera il presente unicamente in funzione del futuro; che ha buone gambe e una tremenda voglia di camminare”
BERTO RICCI
 
"L'identità è un divenire giorno dopo giorno. Sono le coordinate a rimanere le stesse"
GIANFRANCO FINI

"Non tutto quello che è oro brilla, né gli erranti son perduti; il vecchio che è forte non s'aggrinza, le radici profonde non gelano. Dalle ceneri rinascerà un fuoco, l'ombra spigionerà una scintilla; nuova sarà la lama ora rotta e re quei ch'è senza corona".
J.R.R. TOLKIEN

lunedì 20 ottobre 2008




Un ponte fra il fantastico e il reale, tra la magia,
la mistica e le scienze di frontiera.

A Viterbo in Via Saffi, 94
Tel. : 339 / 8895061
Email: info@libreriarcano.com
http://www.libreriarcano.com/



Per collezionisti di antiche cose, studiosi di misteri ancestrali, esperti di esoterismo, accaniti divoratori di documenti dimenticati dalle scienze ufficiali, allineatori di impossibilità e comparatori di mitologie.


Ci sono cose al di là della vita che ci appaiono inspiegabili, quasi impercettibili. Ci sono cose che si estendono in lungo ed in largo in migliaia di galassie e di sistemi solari e si espandono, si amplificano all'infinito. Ad un tratto spariscono ma poi si manifestano nella loro superba magia prima di ritornare al nulla. Ci sono segnali di luce micro-percettibili ed in ognuna di queste si eleva una coscienza. C'è la musica e le sue tonalità alte e basse, c'è il Cielo ed i suoi prodigi, c'è l'ombra della notte che porta un velo di solitudine. C'è il mare e le sue onde, i meridiani, il nadir e lo zenith. L'impercettibile è il suono mistico di una sinfonia. L'universo è una grande vibrazione e l'uomo ne è il modello, il suo archetipo. Ci sono uomini che manifestano la vita nelle difficoltà e nell'ordinarietà e ci sono uomini che manifestano la sinfonia dell'universo così come è, nella sua trasparenza.

Forse, tra noi e qualunque altro essere umano nel mondo esistono soltanto sei gradi di separazione. E non solo fra esseri umani ma anche fra oggetti, eventi, storie antiche e moderne, latitudini, longitudini, direzioni diverse, inverse, che alla fine si collegano in uno stesso punto. La Bottega dell'insolito è un crocevia libero che si apre verso tutte le direzioni...

La bottega dell'insolito è, nella sua semplicità, un esempio di come si possa costruire uno scrigno in cui contenere i ricordi e le cose del passato: le cose materiali si conservano in maniera relativamente semplice mentre è difficilissimo riuscire a conservare le atmosfere, i ricordi, gli stati d'animo. Un libro, un sito, un manufatto, un qualcosa che vuole conservare il passato assolve al suo ruolo quando, aprendolo si ha l'impressione di rivivere quelle atmosfere mitiche e quegli stati d'animo: in caso contrario si ha solo l'impressione di aprire una vecchia scatola contenente cianfrusaglie e cose per bambini mai cresciuti.

domenica 19 ottobre 2008


LA CAVALLERIA ETERNA

La cavalleria del Medio Evo ha avuto per ideale la realizzazione dello Spirito, non secondo un atteggiamento di devozione sentimentale, ma secondo uno stile di fierezza ardimentosa e d’eroicità trasfigurante, ispirato da nascoste e prudenti correnti conoscitive interne. Sebbene i costumi esteriori della cavalleria sacra non possono essere vissuti oggi, tuttavia i suoi princìpi permangono inalterati nel tempo. Si può sempre risuscitare il senso di essere uomini nobilmente superiori e non contaminabili, inflessibili, eretti al di sopra di ogni compromesso e di ogni patteggiamento con se stessi e con gli altri, strenuamente fedeli al proprio ideale, irresistibili nel realizzarlo, silenziosi emanatori di luce, veri trasmutatori di se stessi e degli altri. Si può riuscire ad essere portatori di un fuoco sacro in mezzo a coloro che non ne sono capaci e che non possono intenderlo; ad essere suscitatori d’energie pure, disinteressate, libere. Si, bisognerebbe riuscire a ridare al mondo il senso della potenza spirituale e della gerarchia tradizionale dei valori, cose queste cui molti anelano inconsciamente, cui tendono invano travolti dalla società moderna. Per dispensare pace e ordine al mondo occorrerebbe che sorgessero degli individui qualificati, dei veri Capi non politici ma spirituali, capi in virtù d’irriducibili qualità di vita, di un’esemplare perfezione interiore. E quando questa élite di siffatti uomini fosse fortemente costituita, squarcerebbe la tenebra del materialismo che dovunque imperversa. Tutto allora tornerebbe ad animarsi e a cantare, a liberarsi gioiosamente nel simbolo, nel rito sacrale, nel sacrificio trascendente, nell'eroismo luminoso, nell'affermazione della gerarchia spirituale, nell’invitta luce solare. Purtroppo tutto ciò è considerato un sogno e oggetto di derisione da parte degli uomini profani e sarà sempre un sogno finché non ci saranno individui – predestinati a seguito d’esperienze di precedenti influenze animiche – capaci di riprendere contatto con i poteri trascendenti. Se non ci saranno presto, il mondo precipiterà ancora di più nella corruzione e nella disperazione, e già i segni sono evidenti.















Credo


Credo che un giorno ci trasformeremo in sorgenti d'onde, libere dalla materia e dalla primitiva forma sensoriale.

Credo nel potere che ha l'immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte, di assicurarsi la fiducia dei folli.

Credo nelle rampe in disuso, che puntano verso l’oceano della nostra immaginazione.

Credo nella bellezza di tutte le donne, nei turbamenti della loro anima che mi sfiorano il cuore.

Credo nell'esaurirsi del tempo e nella nostra ricerca di un tempo nuovo.

Credo nella verità dell'inesplicabile, nel buon senso delle pietre, nella follia dei fiori.

Credo nella pietra lanciata da un bambino che porta via con sé la presunta saggezza di statisti e scienziati.

Credo nella geometria senza limiti dello schermo cinematografico, nell'universo nascosto nelle biblioteche, nella solitudine del sole, nella loquacità dei pianeti.

Credo nello sconvolgimento dei sensi.

Credo nell’incantamento dei sensi.

Credo nei progettisti delle piramidi.

Credo negli artisti celesti di glifi scolpiti in campi di grano.

Credo nel dolore.

Credo nella gioia.

Credo in tutti i bambini.

Credo nell’estro divino dei maradona di strada.

Credo nelle mappe, nei codici, nei puzzle, negli eventi aerei inesplicabili.

Credo a tutte le ragioni.

Credo a tutte le allucinazioni.

Credo a tutta la rabbia.

Credo che piccole instabilità in un sistema, possono innescare cambiamenti più grandi.

Credo che l'intersezione delle volontà in un mondo di centri, favorisca colui che più saldamente si impone al vero centro locale e ne assecondi il moto.

Credo a tutte le mitologie, ricordi, fantasie, evasioni.

Credo nel mistero e nella malinconia di una mano, nella gentilezza degli alberi, nella saggezza della luce.

Credo che nella morte diventerò una diagonale tra lo spazio e il tempo.

Credo nella Creazione non ancora compiuta.

Credo in Dio che forse ha bisogno di noi.

Omaggio in versi a Cyrano, naso d'Occidente.

Ho amato Cyrano, di Bergerac il signore, come si ama un sogno, un timido candore, il desiderio di ciò che non si è o l’illusione di un coraggio che altro non è se non frenetica ricerca di un senso, di un motivo, di un rimorso cattivo che ascenda fino al cielo come fosse una bolla, o una goccia alchemica versata in un'ampolla, formula antica per far saltare in aria il fluire noioso della vita.
Ho amato questa storia di un poeta, di un soldato, di un volto sfigurato nell’ansia di un peccato mai commesso, di una bruttezza bella, di una condanna capace di volar sopra una spanna alla mediocrità del vivere borghese, ai pregiudizi che affollano la piazza rumorosa di questa città vile e assai cortese. La storia di un naso lungo, tanto lungo da toccar le stelle, insomma, la storia di un Ribelle che ha cercato il bosco e alfin la pace dentro un mondo losco che l’onore tace.
Ho amato Cyrano, guascone temerario, spadaccino arrogante… ma gigante nel naso, nei versi, nel coraggio tenuto sulla punta di una lama sguainata per dar morte spietata a chi si odia e infinita dolcezza a chi si ama. Il rude combattente che il volto di Rossana aveva impresso nel cuore e nella mente come dolce ossessione, ma che oltre ogni nequizia ha saputo far dell'amicizia una reliquia. Ho immaginato la beltà aggraziata di colei che Cyrano chiamava: "insidia vivente, rosa moscata tra le cui foglie amore s’asconde in imboscata".
Questa estate ho ritrovato Cyrano nei lunghi meriggi luminosi, quando il sole riempie di luce l’universo e dentro un cielo terso dissolve ombre e noia. E lui è tornato a me come un amico atteso e mai perduto, forse trascurato, un ricordo antico riemerso da un lontano passato; un'ombra di frescura sotto le cui pagine adagiarsi per difendere i sogni arsi dalla stupida calura. Si è seduto senza rimpianti, si è tolto i guanti, ha posato il suo cappello di vigogna e "occhio d’aquila e gamba di cicogna" ha detto a me ciò che svelò a Le Bret: "… cantar, sognar sereno e gaio, libero indipendente aver l’occhio sicuro e la voce possente, mettersi quando piaccia il feltro di traverso, per un sì, per un no, battersi o fare un verso!".
Ma mentre rimbalzava la sua voce, io facevo finta di ascoltare e guardavo gli occhi suoi pieni di una malinconia che la spavalderia non può falsare. E vi ho letto ben altro che tutto questo. Vi ho letto quanto sono grandi gli amori mai svelati che il mondo non conosce, ignora, distratto nel fluire delle cose; gli amori coltivati nel silenzio di uno sguardo, di un incontro clandestino, di un non detto; gli amori silenziosi, poderosi, generosi, distesi sopra un prato inebriato dai profumi che gli déi hanno creato… per incantare gli uomini: la viola di Venere, il tiglio di Marte, il mirto, la mandragora, il ginepro, l’artemisia, il mandorlo, l’alloro… soavi fragranze per coloro che nel cuore annullano distanze; ecco, pensavo, profumano così come un miliardo di essenze, gli amori non detti, che fissano lo scorrere del tempo e rendono immortali le esistenze.
Una storia d’amore mai svelata, vissuta da un fantasma in carne e ossa; una passione mai oltraggiata, un brivido, una scossa. Un cumulo di sogni accatastati come legna, riserva per l'inverno rigido del cuore quando la gioventù è appassita e nella terra delle Esperidi solo il ricordo regna. L'amor per sempre. Lui è lì, nell’ombra di un verso, in una lacrima su un foglio, nella malinconia di un canto perché "talvolta il poeta cede al suo stesso incanto". Lui è lì, dentro un'oscurità sotto un balcone, a raccontar di baci, di apostrofi rosa, di una bocca pudica e timorosa. Il suo è un amore che non si può nutrire…un fiore che sboccia solo per morire.
E se chiudevo gli occhi vedevo altro e altro ancora. Vedevo lui pugnare, amar, duellare, indurmi in tentazione a seguirlo sulla cruna, dicendomi: "io son uno che piomba qual bomba dalla luna". Rispetto delle regole: nessuna! Sentieri ripidi, scogliere contro il vento contro cui infrangere il buonsenso. Un mondo imbellettato capace di scappare ai suoi affronti, ma senza l’intelletto di accettare il motto suo: "Dispiacere mi piace, dell’odio mi diletto!".
Ma non da solo, Cyrano non lo era. Chiudevo gli occhi e vedevo a fianco a lui 1000 uomini, vestiti di altre fogge, di altri sogni, inseguir bisogni di vivere la vita non riflessa nel cupo ripeter della stessa. La sua malinconia e il suo eroismo, quella poesia usata come un velo, quell'arco di tensione tra terra e cielo; quell’essere in continuo movimento come fa la marea sopra la sabbia, tra l'impeto d'Amore e la sua Rabbia. No, Cyrano era anche altrove, in altri luoghi, in altri tempi, con altri volti: nel suo duello da solo contro cento, ho visto Don Chisciotte e i suoi mulini a vento. Nell’ostinato sprezzo d'ogni paura ho scorto quel soldato di ventura, Alonso de Contreras, cui un vento d'inchiostro, le memorie nobili e terribili in fin del '500, portò al tempo nostro. E ancora lì, in quel cappello carico di piume, ho rivisto la poesia di chi partì per Fiume a regalar l’impresa a una nazione giovane ed ardita, sposando un cuore impavido a donna bramosia, armati sol di patria e poesia. Cyrano è :"io ho quel che ho donato".
Cyrano è anche altrove: è in quel viandante sulla nebbia che Friedrich il prussiano ci dipinse come icona di una solitudine grandiosa, di una guerra eterna e silenziosa, di un continuo incedere nel mondo; l’attesa nel dominio sopra un mare che si osserva dall’alto con distacco e si fende sicuri nell’attacco.
Ecco, questo è Cyrano: un'illusione data di libertà ed onore, un affresco di colore dipinto in cinque atti: poesia, guerra, amore, amicizia e fedeltà. Rostand lo ha raccontato che il secolo dei Lumi si spegneva, mentre dall’orizzonte il secolo ventesimo giungeva.
Cyrano è questo e molto altro ancora È ciò l’Occidente ha ormai rimosso in questa assurda corsa al paradosso, dove la fine è un debito saldato e la storia un percorso continuato senza soste, pause, riflessioni, ricordi e tradizioni. Tutto è uguale a tutto. Un mondo allucinato di materia, godimento, utilità che rende nullità ogni diverso modo di cercare quella che un'artista o un uomo d’arme chiamerebbero "Verità". Perché la verità più non esiste, liquidata, licenziata, assassinata dal nuovo dio del dubbio che ha spinto la ragione nell'oblio, lasciando come verbo solo l'Io.
Un mondo che non trova la sostanza e affoga nell'idea di un'abbondanza, dentro cui il senso della lotta ormai giace, a vantaggio del falso mito della pace. In cui tutto diventa relativo: il bene, il male, il giusto, il brutto, il bello… un mondo che ha sfondato quel cancello che racchiudeva il limite e il suo senso.
Cyrano è lo spirito di un mondo che Techne ha spodestato ma che dentro i singhiozzi della storia, nei secoli è riemerso con la gloria di un'Europa spesso violentata ma mai doma. Il tragico e l'ironico di un volto che ha colto nell'amore per la vita l'accettar se stesso ma non il compromesso. E con coraggio ha scudisciato il fesso che alberga nei discorsi salottieri e assai conditi degli intellettuali ormai appassiti.
I giovani d'Europa riscoprano Cyrano, la sua grandezza, la sfrontatezza che nasce dall'orgoglio di esser diversi per natura, per naso, per destino, forza e cultura. Buttando a mare la misera viltà che impedisce di chiamarsi "Civiltà". Succhiando come un frutto ormai maturo, dal passato nobile e glorioso, la dolce polpa del futuro. Senza pudori, paure, colpe dovute a ripagar gli inganni di chi è stato sconfitto dalla storia e pensa di imbrogliare la memoria.
Cyrano è dentro noi più di quanto noi crediamo. Perché nel suo epitaffio in cui sta scritto: "colui che in vita sua fu tutto e niente", noi ci scorgiamo il destino d’Occidente. Il rischio di un’assenza, di una fine, oppure la forza, la presenza e la scelta di difendere un confine. Non solo un muro, ma un futuro. Ben altra cosa signori infiocchettati!
E nell'inceder dell'ombra della sera, in quel tramonto cupo che accompagna la fine della sua storia terrena, Cyrano ci ammonisce del tempo che verrà e della sua pena. Puntuale, scomodo ed insano, ci traccia un sentiero senza scelta; alzando la spada con la mano e lasciando il suo lettore stupefatto, esclama: "Io mi batto, io mi batto, io mi batto!".

CUORI IN ATLANTIDE
Lettera aperta a tutti i viaggiatori di misteri. Alcune coordinate senza navigatore per giungere sui continenti sommersi della memoria.





Questo mio studio che dura dal 1971, non parla di fatti reali o di storie inventate, ma di qualcosa d'ancor più inconsueto. Le ricerche e gli studi da me fatti non sono quello che sembrano, allo stesso modo in cui non lo sono le cose che ci circondano. Parlo d'inganno: l'inganno del mondo in cui viviamo e l'inganno che esso nasconde. Che cosa intendiamo di ciò che ci circonda? È come se fossimo stati amputati e conservassimo un doloroso ricordo dell'arto fantasma.
Ho letto Il cuore dell'Asia di Nikolaj Roerich e l'ho trovato curioso, pur tra gli errori della traduzione di Amrita. Ho la traduzione degli Annali Blu del figlio Jurij (Georges), mentre non avrò mai – penso – il coraggio di acquistare tutti i tredici o forse più volumi dell'Agni Yoga, compilazione teosofica effettuata pare da Elena Roerich, moglie di Nikolaj. Dell'altro figlio Svjatoslav ho alcuni ritratti del padre, ma ne so poco di più. Di Nikolaj ho letto i due volumi su Shambhala. E sto leggendo su di lui un volumetto edito anni fa da Rubbettino e curato da Zolla.
L'interessante è il mito di Shambhala, ma anche una descrizione del Tibet ben poco stereotipa, con una contrapposizione tra il Tashi lama portavoce di Shambhala e il Dalai lama tratteggiato quasi come un tiranno, con una povertà incredibile del popolo e un'ottusità oltre i limiti dei suoi governanti.
Il mito di Shambhala è veramente presente in Tibet; ne parlano gli Annali Blu e se ne parla nelle dottrine sul Kâlacakra. Di Agharti/Agarttha non sarei altrettanto sicuro, anche se sembra lo stesso mito. I libri di Roerich, danno elementi interessanti, ma a livello più che altro di chiacchiere su leggende locali. Del resto i testi di Roerich sono una strana mescolanza di cose ben scritte e curiose ed altre irrilevanti.
Il mio pensiero su Shambhala/Agarttha è un pensiero interlocutorio. So che esiste una dimensione affine ma non identica alla nostra (Tír na nÓg ecc.) ma non so che ruolo possa avere di preciso per noi. Da un lato potrei ciecamente accettare ogni leggenda infischiandomene della logica, d'altro canto anche nei paesaggi mitici ci si orizzonta utilizzando la ragione (non solo, ma anche).
Sono tuttavia propenso a credere che, giunti ad un certo livello spirituale, il mondo paia assai più vasto e ricco di quanto non sia per il comune dei mortali, e i confini tra vero e immaginario alquanto sfumati, nel senso che anche l'immaginario ha il suo ruolo reale nel mondo e il reale il suo immaginario, sicché se non si fosse condizionati dalle "idee" correnti, sarebbe ben difficile a volte decidere cos'è vero e cosa no. Più che altro porre per obbligo un'alternativa significa già forzare, "scassinare" il problema. A me pare che la ragione debba essere fatta funzionare benissimo, ma come un bisturi, là dove serve. Se là dove serve non si usa, il paziente muore. Ma se lo si usa dove non serve, muore lo stesso.
Meditando sul significato e il senso del mito, è facile, ad un certo punto, arrivare a Henri Corbin e alla mistica iranica, e quindi a quel concetto di Mundus Imaginalis che è, per quanto mi riguarda, un bisturi meraviglioso per rimuovere i preconcetti e gli errori del linguaggio che, fatalmente, incrostano tali questioni. Il nostro concetto di "realtà" andrebbe ripensato da capo a piedi e l'immaginazione creativa andrebbe vista come strumento di esplorazione, non di invenzione. Il mito è una mappa che sovrapponiamo a un territorio interiore (o dovrei dire sottile... non sto facendo della psicologia, solo tentando rozzamente una specie di metafisica). L'uomo è una sorta di interfaccia tra il mondo esterno, dominato dalla fisica, e quello sottile, metafisico, immaginale. Da una parte abbiamo, a spiegarlo, le scienze matematiche. Dall'altra parte, poesia e immaginazione, mito e simboli.
So che mi sto esprimendo molto male. Mi mancano le parole per dire quello che vorrei. Purtroppo la nostra terminologia occidentale falsa tutte le questioni metafisiche. Non posso dire "immaginazione" senza che si pensi alla fantasia, o "dimensione" senza che si arrivi alla fantascienza. Spero abbiate in parte compreso questa confusa esposizione. Ripeto che questo modello è valido per quanto riguarda il mio percorso personale: altri potranno trovare altri modelli.
Ritorniamo a Roerich. Qualche piccola ricerca su di lui e scopro che è un personaggio a dir poco straordinario, artista e poeta, filosofo e viaggiatore, studioso di culture orientali, esoterista di una certa fama. Ora, visto che muovendosi da Roerich si cade immediatamente nell'antroposofia e nella teosofia, non si può non considerarne la loro storia, il milieu culturale...
Di Roerich apprezzo i quadri, e ne ho letto i testi, molto eterogenei. Ne penso tutto sommato abbastanza bene, girava col figlio Georges (Jurij) gran tibetologo e la moglie Elena teosofa di spicco, non era neanche un reazionario, forse era persino una spia russa. Insomma, un personaggio abbastanza interessante.
Della Blavatsky (Elena Petrovna Blavackaja nata Hahn) penso che fu curiosa persona, caotica assai (come caotiche le sue opere) ma molto energica, probabilmente un po' mistificante ma la cosa andrebbe studiata più attentamente (non mi fido più dei giudizi di nessuno). Non mi pare proprio il caso di usarla come fonte, ma insomma non fu neanche una nullità. La Società Teosofica da lei creata generò cose insipide, ma coinvolse anche anche studiosi di vaglia, come George Robert Stow Mead, la David-Neel, Evans-Wentz...
La Blavatsky fu anche prolifica come narratrice, ma per la verità i suoi racconti non li ho ancora letti.
Fu comunque, a leggerla, meno pesante di Rudolf Steiner (a cui risale l'antroposofia), che però forse era più in buona fede, e produsse ottime cose nelle arti applicate e nell'agricoltura biodinamica. Anche Edouard Schuré era di quel giro, e non scrisse cose spregevoli.
In compenso parecchi teosofi pubblicarono poi cose irrilevanti e melense, ai limiti del tollerabile e oltre. E il tutto contribuì a generare il New Age.
Del resto gli esoteristi con la puzza sotto il naso con la loro smania per la tradizione finirono spesso per imparentarsi a Hitler, e non è certo meglio...
Capiamoci su Schuré, Blavatsky ecc. Non è che io dica che sono attendibili. Però in Schuré vedo un romantico, si pensi al suo libro sulle Femmes inspiratrices, era un artista entusiasta e gradevole. Quanto alla Blavatsky è certo una gran confusionaria e c'è probabilmente parecchio imbroglio, non più però che negli altri occultisti del tempo suo e nostro, spesso assai più noiosi e folli ancora.
Quanto a Swedenborg, mai ho capito come si potesse leggere un autore così noioso, ma ultimamente leggendo il Mistero dell'amor platonico del Rossetti vi ho trovato una chiave diversa, curiosa, come se fosse un linguaggio cifrato. Non so se c'è del vero, ma mantengo per ora qualche riserva mentale.
Non posso però esimermi dall'affrontare il nocciolo della questione, ovvero sulla natura e la forma della storia. Che cos'è la storia? Possibile conciliare la visione esoterica con quella storiografica? Quando è stata l'età dell'oro? È stata veramente in qualche remoto passato? Oppure vivevamo nelle caverne e lottavamo con orsi e tigri dai denti a sciabola? Dobbiamo credere alle sorti progressive dell'umanità o all'offuscamento spirituale? È esistita un'epoca in cui l'uomo possedeva intera la Tradizione, o tale tradizione è soltanto metafora di qualcosa che non abbiamo mai avuto, come il centesimo nome di Allàh? Più che sulla storia si potrebbe ragionare su quanto e come la psiche umana abbia rapporto con la storia. Temo infatti che tutto nell'universo vada e venga, e che ogni prospettiva semplificata sia falsa. E che in molte semplificazioni e quindi errori si celino però più ragioni sociologiche, psicologiche, spirituali. Analogamente si fa del male incidendo una ferita suppurata per togliere un male peggiore ovvero l'infezione...
Quanto all'età dell'oro è sicuramente un paesaggio dell'anima, ma in un mondo dove si muore e uccide come è possibile situarla? Se esistette o esisterà in qualche tempo, è in un tempo che esce dalla storia cioè dall'individualismo che caratterizza le nostre analisi ordinarie. Metafisicamente è sia prima che dopo che mentre. Storicamente pare un riferimento ideale che molti non sono in grado di perseguire se non supponendolo storicamente possibile, il che non è detto che sia.
Per es. nella Bhagavadgîtâ si ingiunge di agire indipendentemente dalle prospettive di successo, per corrispondere al proprio dharma; questa è una visione che a me pare del tutto realistica, ma alla maggior parte della gente parrebbe astratta e incomprensibile.
Veniamo al motivo dell'età aurea, per assicurarvi che anch'io guardo ai luoghi del mito come a regioni della geografia dell'anima. È evidente che, quando parliamo di età dell'oro e di età del ferro o, se volete, di kritayuga e kaliyuga, ci riferiamo a una storia metafisica e non temporale. Questo è anche il mio punto di vista, anche se – a volte – non posso fare a meno di notare come questa costante perdita di interesse del mondo verso le esigenze dello spirito sia un segno preciso, stando a quanto dicono i testi tradizionali, che stiamo sprofondando nell'Ultima Era. Ormai non si fa più nemmeno la fatica di proclamarsi atei: la gente ha perso interesse per le questioni religiose. Il cristianesimo è considerato né più né meno un elemento della cultura europea. Non era così che doveva andare il kaliyuga?
D'altronde c'è una seconda considerazione. Se si va a guardare i miti, ci si accorge che l'età eroica appartiene sempre all'epoca precedente a quella in cui i miti vennero messi per iscritto. Il mondo crollò nel kaliyuga non appena Krishna si affrancò dal mondo delle forme, così come in Grecia l'età del bronzo si chiuse con gli eroi omerici. L'idea è che le età migliori e perfette sono automaticamente proiettate nel passato ogni qual volta il mito viene formalizzato in qualche modo. Sembrerebbe che, l'umanità, anche nelle epoche più remote, sia sempre stata convinta che i tempi che l'avevano preceduta fossero stati migliori di quelli presenti.
Ne deriverebbe – e qui corro il rischio di essere lapidato – che non è mai esistita una Tradizione Primordiale, almeno nella sua forma incorrotta, perfetta, eterna e sovrumana che si pretende abbia avuto in Origine, ma soltanto e sempre rivoli di saggezza che rimandavano a una Sapienza Perfetta che si presumeva perduta in qualche lontano passato. E questi rivoli di saggezza, gelosamente tramandati dai vecchi, erano destinati ad essere dimenticati dalle generazioni a venire (si sa come sono irrispettosi ed empi i giovani d'oggi), finché, nella futura apocatastasi, con la fine dell'età del ferro e il sorgere di una nuova età dell'oro, qualche Manu o qualche Re del Mondo avrebbe ristabilito in toto quella Sapienza da lui custodita.
Tuttavia, detto questo, devo aggiungere che la "realtà" mi sembra assai più sfuggente e complessa. In fondo essa non è solo il mondo come lo tocchiamo e lo misuriamo: oggi dimentichiamo troppo facilmente come l'immaginazione possa essere considerata un vero e proprio organo di senso. L'uomo è un po' l'interfaccia tra il mondo oggettivo e il mondo immaginale e questo ci costringe a prestare un'attenzione più profonda e diversa alle cose di cui partecipiamo, ad espandere quel concetto chiamato "realtà" a tutte le manifestazioni del nostro essere umani.
Dire che a Roncisvalle fu combattuta una scaramuccia priva d'importanza, è mostrare un solo lato di una realtà immensa e composita. L'immaginario medievale non vide mai quell'imboscata alla retroguardia dell'esercito franco come una semplice scaramuccia, ma le diede un significato epocale, sostituì i Saraceni ai Baschi e ne fece l'intero perno tra la fase crescente e quella calante del mito carolingio. Non era un semplice evento storico, ma qualcosa di astorico, di metafisico, una sorta di passaggio – anche se in chiave minore – tra due età del mondo. Prima il Carlo Magno continuatore di un ideale impero cristiano, dopo un regno in dissoluzione, i cui princìpi ideali venivano disattesi, governato dall'ingiustizia e dalla ribellione.
Anche se nei libri di epica delle scuole medie le chansons de geste francesi non compaiono mai – a quanto pare la critica le considera poco significative dal punto di vista letterario – il ciclo nel suo complesso appare assai ben meditato e costruito secondo la logica di un autentico mito. È una visione del mondo, non soltanto le confuse affabulazioni di rozzi trovieri sulle piazze dei mercati duecenteschi.
Mi accorgo di aver parlato molto e di aver solo sfiorato l'argomento che mi sta a cuore.
Sull'età dell'oro, è interessante quanto dice l'Ecclesiaste (7, 11): «Non dire: "Chissà mai perché i tempi di prima eran migliori di questi?" giacché stolta è una tale domanda».
Atlantide... Oddio, Atlantide... è ovvio che ci ho pensato un sacco di tempo, essendo noi viaggiatori dell'altrove assoluto fatti come siamo... Mi sembra strano che Platone se l'inventasse del tutto, ma comunque è lui l'unica fonte, visto che Plutarco si rifà a lui. Vi sono anche miti africani e americani che potrebbero suffragare l'ipotesi, ma per esserne sicuri del tutto bisognerebbe studiarsi bene la questione.
E poi l'unico buco geologico possibile a prendere sul serio Platone sarebbe la zona Golfo del Messico-Antille, l'unico posto dove c'è un vuoto, nel senso che il profilo euroafricano non combacia con quello americano. Questo peraltro convergerebbe con la descrizione di Platone secondo cui Atlantide era davanti alle Colonne d'Ercole, ma prove geologiche non mi pare ve ne siano a sufficienza. Non è detto però che se un luogo sprofonda in una faglia di magma sott'acqua, debbano per forza rimanerne segni chiari dopo dodicimila anni. Va' a capire...
Come luogo perduto dell'anima – al pari dell'Antartide di Lovecraft, o di Shangri-La ecc. – l'Atlantide funziona certo benissimo, ma è da vedere se non è il caso talvolta di vedere nella struttura della psiche il segno di cose realmente successe.
Naturalmente non intendo discutere l'effettiva esistenza del Continente Sommerso, un argomento che lascio volentieri ad altri ricercatori. L'unica fonte è Platone, il quale ci parlava anche dell'Atene pleistocenica, degli uomini tagliati in due e del mondo delle idee... e in effetti è ben probabile che la storia di Atlantide, così come ce la racconta (sia che l'abbia inventata di sana pianta, sia che l'abbia ricevuta dai sacerdoti saitici) sia utilizzata per i suoi scopi letterari. Provo a spiegarmi meglio: come luogo dell'anima, Atlantide esisteva realmente (e devo sottolineare "realmente") per quelle persone che la contemplavano nella propria visione del mondo. Si potrebbe arguire che dèi e dèmoni esistono davvero per coloro che vi credono, magari soltanto come concretizzazione di maschere stese a velare un Assoluto retrostante, ma comunque sarebbe la mente, la fede, l'immaginazione umana a plasmare il mondo di ciascuno (essendo il mondo umano un misto di materiale e immaginale), dando così i presupposti alla presenza di madonne che piangono, di jinn che rapiscono i bambini, di vampiri e fantasmi, e di apparizioni del Buddha. In fondo il Corbin sa bene che è ben possibile sbarcare in Atlantide se si ha la giusta immaginazione attiva, anche se poi credo sia arduo portare via qualche souvenir da laggiù. D'altronde alla fin fine è il nostro mondo ad essere l'ombra di Hurqalyâ e non viceversa...
Nella mitologia tradizionalista c'è tutta una serie di cataclismi e diluvi, che tutti sanno quando e come, anche se non lo possono dire perché il tempo non è quel che sembra, e così oltre che ci si sbaglia si contravviene a non si sa che cosa. Più che altro importa che le date le diano gli altri, così si può criticarli...
Francamente su questi argomenti varrebbe magari la pena compiere degli studi, con il sottinteso però che è meglio dire dieci con le prove che non mille senza prove. C'era una volta Tilak (La Dimora Artica nel Veda), Santillana, l'Airyanem Vaêjô quello sì iperboreo, ecc. ecc.
Ma lungo è il cammino!
Se è vero che la perfezione che non abbiamo ai nostri tempi la proiettiamo sempre nei tempi precedenti ai nostri (come testimonia l'Ecclesiaste), non sarà che quella sapienza incompleta e fallace che possediamo la proiettiamo nel passato perfetta e incorrotta e super-umana? È mai esistita - almeno a portata di mani e menti umane - una Sapienza Originale e Primordiale? O si tratta solo di una sorta di utopia dell'anima, di curioso asintoto dell'intelletto?
Aztlán quale luogo primigenio... la marcia degli Aztechi nel Messico e la fondazione di Tenochtitlán... Non sono un esperto di mitologia amerinda, ahimè – e più per mancanza di tempo che di passione – ma tra gli Indiani del Nuovo Mondo si parlava spesso di emersione del genere umano da un mondo sottostante, e poi si è liberi di interpretarlo letteralmente (forse qualcuno l'ha fatto, magari tirando in ballo qualche versione locale di Agarttha...) o come di una nascita dalle "ossa della grande madre", che forse è tutt'uno con un'emersione delle forme da una specie di cisterna degli archetipi, qui trasformata in una sorta di mondo che è sia precedente che ipoctonio.
La lunga marcia degli Aztechi, finì dove essi videro un'aquila che mangiava un serpente sopra un cactus, e lì essi fondarono la loro capitale (vedi stemma nella bandiera del Messico).
Un cactus, un'aquila e un serpente. Curioso vero? Tutto ciò ricorda il frassino Yggdrasill, con il serpente alle radici e l'aquila tra i rami. O l'albero di Huluppu, con il serpente alle radici e l'uccello Imdugud tra i rami.
Si potrebbe anche parlare dell'albero della conoscenza, con il serpente tentatore e i cherubini a difenderlo. Una tradizione omologa che si trova alla base di questi racconti sembra ben diffusa... bisogna tirare in ballo Atlantide, la Tradizione Primordiale o cos'altro?
O forse semplicemente applicare alla mitologia le ipotesi monogenetiche della specie umana che Cavalli-Sforza ha già applicato con successo nella genetica e che Greenberg e Ruhlen hanno applicato nella linguistica?
Davvero, io non sono sicuro affatto se mai sia esistita Atlantide, o se la sapienza abbia mai abitato in questo mondo o mai l'abiterà. Però...Però ho più sospetti che altro, cioè credo saggio non chiudere la porta a nessuna ipotesi, se non si hanno le prove. Così insondabile è il tempo, l'universo...Direi che a questo punto della mia vita dovrei pronunciare alcuni ringraziamenti. Uno è senz'altro per gli inventori dei simboli, produzione così scarsamente redditizia sotto il profilo monetario... Essi comunque al tempo stesso mi hanno anche incasinato, perché non sai mai bene fin dove il simbolo arrivi, e in quante direzioni.
Hurqalyâ è certo una dimensione dell'anima, ma chi la conosce fino in fondo? è mai possibile? E poi quando vado in ufficio, dov'è Hurqalyâ, dove Êrân Vêj, dove il Pardés? Con uno sforzo, a lampi, il cuore ne ripalpita anche allora, ma devo far violenza, se no una dimensione amorfa e opaca spegne la mia passione...
A volte mi pare che si potrebbe davvero partire per la santa guerra magari col grido templare Vive Dieu Saint Amour! Altre volte mi sembra tutto così illusorio, e che sola strada di libertà sia la pienezza luminosa della Fravashi nella morte.
Mille Atlantidi e Iperboree nelle memorie mie e vostre e dei nostri avi, reali e immaginarie, chissà quante vere?
Alla fine però gli anni ci stancheranno, e i libri letti li dimenticheremo. Solo la luce interna rimarrà, e tutto il resto paglia per il fuoco della luce dell'interno (se ci va bene).
Il frassino del mondo, Odino, Yggdrasill, sembrano ferite reali, sanguinanti, in un mondo di illusorio benessere, lacerazioni sulla faccia mediocre dell'abitudine.
Tendo infine a sospettare (la mia è la filosofia del sospetto?) due cose: la prima è che l'essenziale sia mistero, perciò silenzio, perciò fonte segreta aformale dell'espressione, disposta però a zampillare per chi davvero la desidera; la seconda è che, raggiunto un certo stato, i simboli comincino a parlare veramente, magari più di quel che già sperimentiamo, a mostrarci cioè la propria necessità.
Per esempio si potrebbe capire in che modo esattamente Yggdrasill stia dentro di noi, ma non astrattamente bensì fino a sentirne sensorialmente le radici, le fronde, le ferite, i cicli.
E poi sospetto anche che il tempo sia una fantasmagoria di dilatazioni e restringimenti, che non sia per nulla lineare, né unidirezionale, e che la memoria che se ne ha sia per ciascuno di noi assolutamente funzionale a ciò che è, sicché la sua percezione non sia in alcun modo oggettiva.
In conclusione: potrei anche partire per l'ennesima ricerca di Atlantide, perché questa cerca sarebbe una nobile impresa. Non so se si arriverebbe, e neanche se la meta esista, ma il sentiero sarebbe ricco d'avventure. Forse s'aprirebbero strade che portano a strani eremiti che c'insegnerebbero la strada, forse bellissime fate costituirebbero per noi novelli enigmi di vita e di morte in castelli che altrimenti giammai percepiremmo. Per questo vado studiando e cercando da decenni, suppongo. Ma sapere un dato storico preciso, anche solo uno, di cui essere totalmente sicuri, in campo storico è un problema serio. Serio per modo di dire, perché questo tipo di conoscenza che dura al massimo il tempo di una vita non conta molto. Un nobile gioco, più probabilmente una scommessa. Ecco tutto. e nostra compagna di gioco è l'insondabile notte.