Libera lo splendore prigioniero. Il tentativo è quello di attivare delle volontà, di far partire una scintilla che, raccolta da chi ci segue, crei una scarica permanente, un flusso. Verrà il momento in cui tutti gli sconvolgimenti cosmici si assesteranno e l’universo si aprirà per un attimo, mostrandoci quello che può fare l’uomo.

martedì 21 settembre 2010

Oltre la barriera dei ghiacci gallegganti

[Le avventure di Arthur Gordon Pym, pubblicato nel 1838,trad. di Elio Vittorini]. “5 marzo. – Il vento era completamente cessato, ma noi continuavamo a correre lo stesso verso il sud, trascinati da una corrente irresistibile. Sarebbe stato naturale che provassimo dell’apprensione per la piega che prendevano le cose, invece niente. […] “6 marzo.- Il vapore si era alzato di parecchi gradi e andava a poco a poco perdendo la sua tinta grigiastra. L’acqua era calda più che mai, e ancora più lattiginosa di prima. Ci fu una violenta agitazione del mare proprio vicinissimo a noi, accompagnata, come al solito, da uno strano balenio del vapore e da una momentana frattura lungo la base di esso. […] “9 marzo. – La strana sostanza come di cenere continuava a pioverci attorno. La barriera di vapore era salita sull’orizzonte sud a un’altezza prodigiosa, e cominciava ad assumere una forma distinta. Io non sapevo paragonarla altro che a una immane cateratta la quale precipitasse silenziosamente in mare dall’alto di qualche favolosa montagna perduta nel cielo. La gigantesca cortina occupava l’orizzonte in tutta la sua estensione. Da essa non veniva alcun rumore. “21 marzo. – Una funebre oscurità aleggiava su di noi ma dai lattiginosi recessi dell’oceano scaturiva un fulgore che si riverberava sui fianchi del battello. Eravamo quasi soffocati dal tempestare della cenere bianca che si accumulava su di noi e riempiva l’imbarcazione, mentre nell’acqua si scioglieva. La sommità della cateratta si perdeva nella oscurità della distanza. Nel frattempo risultava evidente che correvamo diritto su di essa ad una impressionante velocità. A tratti, su quella cortina sterminata, si aprivano larghe fenditure, che però subito si richiudevano, attraverso le quali, dal caos di indistinte forme vaganti che si agitavano al d ilà, scaturivano possenti ma silenziose correnti d’aria che sconvolgevano, nel loro turbine, l’oceano infiammato. “22 marzo. – L’oscurità si era fatta più intensa e solo il luminoso riflettersi delle acque della bianca cortina tesa dinanzi a noi la rischiarava ormai. Una moltitudine di uccelli giganteschi, di un livido color bianco, si alzava a volo incessantemente dietro a noi per battere, appena ci vedevano, in ritirata gridando il sempiterno Tekeli-li. Nu-Nu [un indigeno della misteriosa isola di Tsalal che i due avevano fatto prigioniero] ebbe, a quelle grida un movimento sul fondo del battello, e, come noi lo toccammo, scoprimmo che aveva reso l’ultimo respiro. Fu allora che la nostra imbarcazione si precipitò nella morsa della cateratta dove si era spalancato un abisso per riceverci. Ma ecco sorgere sul nostro cammino una figura umana dal volto velato, di proporzioni assai più grandi che ogni altro abitatore della terra. E il colore della sua pelle era il bianco perfetto della neve.”

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