Libera lo splendore prigioniero. Il tentativo è quello di attivare delle volontà, di far partire una scintilla che, raccolta da chi ci segue, crei una scarica permanente, un flusso. Verrà il momento in cui tutti gli sconvolgimenti cosmici si assesteranno e l’universo si aprirà per un attimo, mostrandoci quello che può fare l’uomo.

venerdì 27 novembre 2009

NAVIGANDO NELL'IGNOTO: Un'Intervista con Carlos Castaneda



per la rivista Uno Mismo, Cile ed Argentina, Febbraio 1997
di Daniel Trujillo Rivas *

Domanda: Signor Castaneda, per anni lei è rimasto in assoluto anonimato. Che cosa la ha spinto a cambiare questa condizione e a parlare pubblicamente degli insegnamenti che lei e le sue tre compagne avete ricevuto dal nagual Juan Matus?

Risposta: Ciò che ci obbliga a diffondere le idee di don Juan Matus è la necessità di chiarire cosa ci insegnò. Per noi questo è un compito che non può essere più rimandato. Le altre tre sue allieve ed io abbiamo raggiunto la conclusione unanime che il mondo in cui don Juan Matus ci introdusse è nelle possibilità percettive di tutti gli esseri umani. Abbiamo discusso tra noi su quale fosse la strada corretta da prendere. Rimanere nell'anonimato come ci aveva proposto don Juan? Non era un'opzione accettabile. L'altra strada possibile era di divulgare le idee di don Juan: una scelta molto più pericolosa e impegnativa, ma l'unica che, noi riteniamo, abbia la dignità con cui don Juan ha permeato tutto il suo insegnamento.

D: Considerando ciò che lei ha detto circa l'imprevedibilità delle azioni di un guerriero, che noi abbiamo corroborato per tre decadi, possiamo aspettarci che questa fase pubblica duri per un pò? Fino a quando?

R: Non c'è modo per noi di stabilire un criterio temporale. Noi viviamo secondo le premesse proposte da don Juan e non ce ne discostiamo mai. Don Juan Matus ci fornì il formidabile esempio di un uomo che viveva secondo ciò che diceva. E dico che è un esempio formidabile perché è la cosa più difficile da emulare; essere monolitici e allo stesso tempo avere la possibilità di fronteggiare qualsiasi cosa. Questo era il modo in cui don Juan visse la sua vita.
      Date queste premesse, l'unica cosa che si può essere è un mediatore impeccabile. Non si è giocatori in questa cosmica partita a scacchi, si è solo pedine sulla scacchiera. Ciò che decide tutto è un'energia consapevole ed impersonale che gli stregoni chiamano Intento o lo Spirito.

D: Per quanto ho potuto constatare, l'antropologia ortodossa, così come i presunti difensori dell'eredità culturale pre-colombiana dell'America, minano la credibilità del suo lavoro. La convinzione che il suo lavoro sia semplicemente il prodotto del suo talento letterario, che, in ogni caso, è eccezionale, oggi continua ad esistere. Anche in altri ambiti la accusano di avere doppi valori perché, presumibilmente, la sua vita e le sue attività contraddicono ciò che la maggioranza si aspetta da uno sciamano. Come può dissipare questi sospetti?

R: Il sistema cognitivo dell'uomo occidentale ci costringe a fare affidamento su idee preconcette. Noi basiamo i nostri giudizi su qualcosa che è sempre "a priori", per esempio l'idea di ciò che è "ortodosso". Che cosa è l'antropologia ortodossa? Quella insegnata nelle sale di conferenza universitarie? Qual'è il comportamento di uno sciamano? Mettersi piume sulla testa e ballare per gli spiriti?
      Sono trenta anni che la gente accusa Carlos Castaneda di aver creato un personaggio letterario solo perché ciò che riporto non concorda con gli "a priori" antropologici, le idee stabilite nelle aule o sul campo di lavoro antropologico. In ogni caso ciò che don Juan mi presentò può applicarsi solo ad una situazione che richiede azione totale, in queste circostanze, avviene molto poco o quasi nulla di preconcetto.
      Non sono mai riuscito a trarre delle conclusioni circa lo sciamanismo perché per farlo bisogna essere membri attivi nel mondo degli sciamani. Per uno scienziato sociale, diciamo per esempio un sociologo, è molto semplice arrivare a conclusioni sociologiche riguardo qualsiasi soggetto relazionato con il mondo occidentale, perché il sociologo è un membro attivo del mondo occidentale. Ma come può un antropologo, che passa al massimo due anni studiando altre culture, arrivare a conclusioni sicure a quel riguardo? Ci vuole una vita per poter acquisire l'appartenenza ad un mondo culturale. Io ho lavorato per più di trent'anni nel mondo cognitivo degli sciamani dell'antico Messico e, sinceramente, non credo che ciò mi permetterebbe di trarre delle conclusioni o addirittura di proporle.
      Ho discusso di questo con persone di diverse discipline e loro sembrano capire ed essere d'accordo con le premesse che sto presentando. Ma poi si girano e dimenticano ogni cosa sulla quale avevano convenuto e continuano a sostenere principi accademici "ortodossi", senza preoccuparsi della possibilità di un errore assurdo nelle loro conclusioni. Il nostro sistema cognitivo sembra essere impenetrabile.

D: Qual'è lo scopo di non permettere di essere fotografato, di registrare la sua voce o rendere noti i suoi dati biografici? Questo potrebbe influire su ciò che lei ha raggiunto nel suo lavoro spirituale e se sì, come? Non pensa che sapere chi lei sia veramente potrebbe essere utile per alcuni sinceri ricercatori della verità come modo di corroborare che è veramente possibile seguire il sentiero che lei promulga.?

R: In riferimento alle fotografie e ai dati personali, le altre tre apprendiste di don Juan ed io stesso seguiamo le sue istruzioni. Per uno sciamano come don Juan, la principale idea dietro l'astenersi dal rivelare i dati personali è molto semplice. E' imperativo lasciare da parte quello che egli chiamava "storia personale". Allontanarsi dal "me" è qualcosa di estremamente fastidioso e difficile. Ciò che gli sciamani come don Juan cercano è uno stato di fluidità dove il "me" personale non conta. Egli credeva che l'assenza di fotografie e dati personali influisca su chiunque entri in questo campo di azioni in modo positivo, sebbene subliminale. Noi abbiamo l'incessante abitudine di usare fotografie, registrazioni e dati personali, ognuno dei quali nasce dall'idea di importanza personale. Don Juan diceva che è meglio non sapere nulla di uno sciamano; in questo modo invece di incontrare una persona, si incontra un'idea che può essere sostenuta; l'opposto di ciò che succede nel mondo quotidiano dove abbiamo di fronte solo persone che hanno numerosi problemi psicologici ma non idee, tutte queste persone piene fino all'orlo di "io, io, io".

D: Coloro che la seguono, come dovrebbero interpretare la pubblicità e l'infrastruttura commerciale a lato del suo lavoro letterario e che circonda la conoscenza che lei e i suoi compagni diffondete? Qual'è la sua vera relazione con Cleargreen, Incorporated e le altre società (Laugan Productions, Toltec Artists)? Sto parlando di un legame commerciale.

R: A questo punto nel mio lavoro ho avuto bisogno di qualcuno capace di rappresentarmi in relazione alla diffusione delle idee di don Juan Matus. Cleargreen è una società che ha grandi affinità con il nostro lavoro, così come Laugan Productions e Toltec Artists. L'idea di diffondere gli insegnamenti di don Juan nel mondo moderno implica l'uso di mezzi commerciali e artistici che non sono alla mia personale portata. Come società aventi una affinità con le idee di don Juan, Cleargreen, Laugan Productions e Toltec Artists sono capaci di fornire i mezzi per divulgare ciò che io voglio divulgare.
      Nelle società impersonali c'è sempre una tendenza a dominare e trasformare ogni cosa venga presentata loro e adattarla alle loro proprie ideologie. Se non fosse per il sincero interesse di Cleargreen, Laugan Productions e Toltec Artists, ogni cosa detta da don Juan a quest'ora sarebbe stata trasformata in qualcos'altro.

D: C'è un gran numero di persone che in un modo o nell'altro, "si attaccano" a lei per acquisire pubblica notorietà. Qual'è la sua opinione riguardo alle azioni di Victor Sanchez, che ha interpretato e riorganizzato i suoi insegnamenti per elaborare una teoria personale? E dell'asserzione di Ken Eagle Feather che è stato scelto da don Juan per essere il suo discepolo, e che don Juan tornò indietro solo per lui?

R: Effettivamente c'è un gran numero di persone che si autodefiniscono miei studenti o studenti di don Juan, persone che non ho mai incontrato e che, posso garantire, don Juan non incontrò mai. Don Juan Matus era interessato esclusivamente alla perpetuazione del suo lignaggio di sciamani. Ebbe quattro apprendisti che sono qui ancora oggi. Ne ebbe altri che partirono con lui. Don Juan non era interessato all'insegnamento della sua conoscenza; la insegnò ai suoi discepoli perché continuassero il suo lignaggio. Dato che non possono continuare il lignaggio, i suoi quattro discepoli sono obbligati a divulgare le sue idee.
      Il concetto di un maestro che insegna la sua conoscenza è parte del nostro sistema cognitivo ma non è parte del sistema cognitivo degli sciamani del Messico antico. Insegnare era assurdo per loro. Trasmettere la sua conoscenza a quelli che avrebbero perpetuato il loro lignaggio era una questione differente.
      Il fatto che ci sia un numero di individui che insistono ad usare il mio nome o il nome di don Juan è semplicemente una facile manovra per trarre dei vantaggi senza troppo sforzo.

D: Consideriamo che la parola "spiritualità" significhi stato di coscienza in cui gli esseri umani sono pienamente in grado di controllare i potenziali della specie, qualcosa raggiungibile dalla trascendenza della semplice condizione animale attraverso una dura preparazione psichica, morale e intellettuale. E' d'accordo con questa asserzione? Com' è integrato il mondo di don Juan in questo contesto?

R: Per don Juan Matus, uno sciamano pragmatico ed estremamente sobrio, "spiritualità" era un'idealità vuota, un'asserzione senza basi che noi crediamo essere molto bella perché è rivestita di concetti letterari ed espressioni poetiche, ma che non va mai oltre quello.
      Gli sciamani come don Juan sono essenzialmente pratici. Per loro esiste solo un universo predatorio in cui intelligenza o consapevolezza sono il prodotto di sfide di vita o di morte. Egli si considerava un navigatore dell'infinito e diceva che per navigare nell'ignoto, come fa uno sciamano, si ha bisogno di pragmatismo illimitato, sconfinata sobrietà e fegato d'acciaio.
      In vista di tutto questo, don Juan credeva che la "spiritualità" fosse semplicemente una descrizione di qualcosa di impossibile da raggiungere all'interno degli schemi del mondo della vita quotidiana, e che non fosse un vero modo di agire.

D: Lei ha sottolineato che la sua attività letteraria, così come quella di Taisha Abelar e di Florinda Donner-Grau, è il risultato delle istruzioni di don Juan. Qual'è lo scopo di questo?

R: Lo scopo di scrivere quei libri fu dato da don Juan. Egli asserì che anche se non si è scrittori si può scrivere, ma lo scrivere è trasformato da azione letteraria in azione sciamanistica. Ciò che decide il soggetto e lo svolgimento di un libro, non è la mente dello scrittore ma piuttosto una forza che gli sciamani considerano essere la base dell'universo, e che loro chiamano intento. E' l'intento che decide la produzione di uno sciamano, che sia letteraria o di qualsiasi altro genere.
      Secondo don Juan un praticante di sciamanismo, ha il dovere e l'obbligo di saturare se stesso con tutte le informazioni possibili. Il lavoro degli sciamani è di informarsi accuratamente su ogni cosa che potrebbe avere relazione con argomenti di loro interesse. L'atto sciamanistico consiste nell'abbandonare tutto l'interesse nel dirigere il corso delle informazioni prese. Don Juan era solito dire: "Ciò che organizza le idee che erompono da una tale fonte di informazioni non è lo sciamano, è l'intento. Lo sciamano è semplicemente un condotto impeccabile." Per don Juan scrivere era soltanto una sfida sciamanistica, non un compito letterario.

D: Se lei mi permette di asserire ciò che segue, il suo lavoro letterario presenta concetti che hanno stretta relazione con insegnamenti filosofici orientali, ma contraddice ciò che comunemente si conosce circa la cultura indigena messicana. Quali sono le similitudini e le differenze tra l'una e l'altra?

R: Non ne ho la minima idea. Non sono un esperto di nessuna delle due. Il mio lavoro consiste in un rapporto fenomenologico sul mondo cognitivo al quale don Juan Matus mi introdusse. Dal punto di vista della fenomenologia come metodo filosofico, è impossibile fare asserzioni che siano relazionate al fenomeno in esame. Il mondo di don Juan è così vasto, così misterioso e contraddittorio, che non si presta ad un esercizio di esposizione lineare; il massimo che si può fare è descriverlo, e anche solo questo è uno sforzo supremo.

D: Presupponendo che gli insegnamenti di don Juan siano diventati parte della letteratura occulta, qual'è la sua opinione circa altri insegnamenti in questa categoria, per esempio la filosofia massonica, il Rosacrucianesimo, l'Ermetismo e discipline come la Cabala, i Tarocchi e l'Astrologia quando le compariamo al nagualismo? Ha mai avuto o mantiene qualche contatto con qualcuna di queste o con i loro devoti?

R: Ancora una volta, non ho la minima idea di quali siano le premesse, o i punti di vista e i soggetti di queste discipline. Don Juan ci presentò il problema di navigare nell'ignoto e questo richiede tutto il nostro sforzo disponibile.

D: Alcuni concetti del suo lavoro, come il punto d'assemblaggio, i filamenti energetici che costituiscono l'universo, il mondo degli esseri inorganici, l'intento, l'agguato e il sognare, hanno un equivalente nella conoscenza occidentale? Per esempio, ci sono alcune persone che ritengono che l'uomo visto come uovo luminoso sia un modo di definire l'aura.

R: Per quanto ne so, nulla di ciò che don Juan ci insegnò sembra avere una controparte nella conoscenza occidentale.
      Una volta, quando don Juan era ancora qui, passai un anno intero in cerca di guru, maestri e saggi che mi dessero un accenno di ciò che stavano facendo. Volevo sapere se c'era qualche cosa al mondo in quel tempo simile a ciò che don Juan diceva e faceva.
      Le mie risorse erano molto limitate e mi portarono solo ad incontrare maestri celebrati che avevano milioni di seguaci e sfortunatamente non trovai alcuna similitudine.

D: Concentrandosi specificatamente sul suo lavoro letterario, i suoi lettori trovano differenti Carlos Castaneda. Prima troviamo uno studioso occidentale un pò incompetente, permanentemente confuso dal potere di vecchi indiani come don Juan e don Genaro (principalmente in A Scuola dallo Stregone, Una Realtà Separata, Viaggio a Ixtlan, L'Isola del Tonal, ed Il Secondo Anello del Potere). Più tardi troviamo un apprendista esperto in sciamanismo (ne Il Dono dell'Aquila, Il Fuoco dal Profondo, e particolarmente ne L'Arte del Sognare). Se lei è d'accordo con questa valutazione, quando e come cessò di essere l'uno per divenire l'altro?

R: Non mi considero uno sciamano o un maestro, o uno studente di sciamanismo ad un livello avanzato; n´ mi considero un antropologo o uno scienziato sociale nel mondo occidentale. Le mie presentazioni sono state tutte descrizioni di un fenomeno che è impossibile discernere sotto le condizioni della conoscenza lineare del mondo occidentale. Non potrei mai spiegare cosa don Juan mi stava insegnando in termini di causa ed effetto. Non c'era modo di predire cosa stesse per dire o cosa stesse per succedere. In tali circostanze, il passaggio da uno stato all'altro è soggettivo, e non qualcosa di elaborato, premeditato o un prodotto di saggezza.

D: Si possono trovare episodi nel suo lavoro letterario che sono veramente incredibili per la mente occidentale. Come può chi non è un iniziato verificare che tutte quelle "realtà separate" sono reali come lei dichiara?

R: Può essere facilmente verificato coinvolgendo il proprio intero corpo invece della sola mente. Non si può entrare nel mondo di don Juan intellettualmente, come un dilettante che cerca conoscenza veloce e rapida. Né, nel mondo di don Juan, nulla può essere verificato con certezza. La sola cosa che possiamo fare è di arrivare ad uno stato di consapevolezza accresciuta che ci permetta di percepire il mondo intorno a noi in una maniera più inclusiva. In altre parole, la meta dello sciamanismo di don Juan è di rompere i parametri della percezione storica e quotidiana e di percepire l'ignoto. Questo è il motivo per cui egli si definiva un navigatore dell'infinito. Asseriva che l'infinito si trova dietro i parametri della percezione quotidiana. Rompere questi parametri era lo scopo della sua vita. Poiché era uno sciamano straordinario, egli instillò quel medesimo desiderio in tutti e quattro noi. Ci forzò a trascendere l'intelletto ed incorporare il concetto di rompere i parametri della percezione storica.

D: Lei asserisce che la caratteristica basilare degli esseri umani è di essere "percettori di energia". Si riferisce al movimento del punto d'assemblaggio come a un fattore necessario per percepire l'energia direttamente. Come può questo essere utile ad un uomo del 21° secolo? Secondo i concetti definiti precedentemente, come può il conseguimento di questa meta aiutare il progresso spirituale di qualcuno?

R: Gli sciamani come don Juan asseriscono che tutti gli esseri umani hanno la capacità di vedere l'energia direttamente così come fluisce nell'universo. Credono che il punto d'assemblaggio, come lo chiamano, è un punto che esiste nella sfera totale di energia dell'uomo. In altre parole, quando uno sciamano percepisce un uomo come energia che fluisce nell'universo, vede una palla luminosa. In quella palla luminosa, lo sciamano può vedere un punto di maggiore brillantezza, situato all'altezza delle scapole, approssimativamene ad un braccio di distanza dietro di esse. Gli sciamani sostengono che la percezione viene assemblata in questo punto; che l'energia che fluisce nell'universo viene qui trasformata in dati sensoriali, e che i dati sensoriali vengono poi interpretati, dando come risultato il mondo della vita quotidiana. Gli sciamani asseriscono che ci viene insegnato a interpretare, e di conseguenza a percepire.
      Il valore pragmatico di percepire l'energia direttamente come fluisce nell'universo è lo stesso per un uomo del 21° secolo o per un uomo del 1° secolo. Gli permette di allargare i limiti della sua percezione e di usare questo accrescimento all'interno del suo mondo. Don Juan diceva che sarebbe straordinario vedere direttamente la meraviglia dell'ordine e del caos dell'universo.

D: Lei ha presentato recentemente una disciplina fisica chiamata Tensegrità. Può spiegare che cosa è esattamente? Qual'è il suo scopo? Quale beneficio spirituale può ottenere una persona che la pratica individualmente?

R: Secondo ciò che don Juan Matus ci insegnò, gli sciamani che vissero nel Messico antico scoprirono una serie di movimenti che quando eseguiti dal corpo determinavano un tale benessere fisico e mentale che decisero di chiamare quei movimenti passi magici.
      Don Juan ci disse che attraverso i loro passi magici, quegli sciamani raggiunsero un accresciuto livello di coscienza che permise loro di realizzare indescrivibili prodezze di percezione.
      Nel corso delle generazioni, i passi magici furono insegnati solamente a praticanti di sciamanismo. I movimenti furono circondati da enorme segretezza e rituali complessi. Questo è il modo in cui don Juan li imparò e questo è il modo in cui li insegnò ai suoi quattro apprendisti.
      Il nostro sforzo è stato di estendere l'insegnamento di tali passi magici a chiunque volesse impararli. Li abbiamo chiamati Tensegrità, e li abbiamo trasformati da specifici movimenti pertinenti solo ad ognuno dei quattro discepoli di don Juan, a movimenti generali adatti a tutti.
      Praticare la Tensegrità, individualmente o in gruppo, promuove salute, vitalità, giovinezza e un senso generale di benessere. Don Juan diceva che praticare i passi magici aiuta ad accumulare l'energia necessaria ad aumentare la consapevolezza e ad espandere i parametri della percezione.

D: Oltre alle sue tre compagne, la gente che partecipa ai suoi seminari, ha incontrato altre persone, come le Chacmools, le Inseguitrici dell'Energia, gli Elementi, l'Esploratore Azzurro.....chi sono? Sono parte di una nuova generazione di veggenti guidati da lei? Se così fosse, come si può diventare parte di questo gruppo di apprendisti?

R: Ognuna di queste persone è un essere specifico che don Juan Matus, come guida del suo lignaggio, ci chiese di aspettare. Predisse l'arrivo di ognuno di loro come parte integrale di una visione. Poiché il lignaggio di don Juan non poteva continuare, a causa della configurazione energetica dei suoi quattro studenti, il loro compito fu trasformato dal perpetuare il lignaggio al chiuderlo, se possibile con una fibbia d'oro.
      Noi non siamo nella posizione di cambiare queste istruzioni. N´ possiamo cercare o accettare apprendisti o membri attivi della visione di don Juan. L'unica cosa che possiamo fare è di accettare i disegni dell'Intento.
      Il fatto che i passi magici, protetti con tale gelosia per così tante generazioni, oggi vengano insegnati, è prova che si può davvero in maniera indiretta, divenire parte di questa nuova visione attraverso la pratica della Tensegrità e seguendo le premesse della via del guerriero.

D: In Lettori dell'Infinito, lei ha usato il termine "navigare" per definire ciò che fanno gli stregoni. State issando le vele per cominciare presto il viaggio definitivo? Il lignaggio dei guerrieri toltechi custodi di questa conoscenza, finirà con voi?

R: Si, è esatto, il lignaggio di don Juan finisce con noi.

D: C'è una domanda che mi sono posto spesso: la strada del guerriero include come fanno altre discipline, lavoro spirituale per coppie?

R: La strada del guerriero include tutto e tutti. Ci può essere un'intera famiglia di guerrieri impeccabili. La difficoltà si trova nel terribile fatto che le relazioni individuali sono basate su investimenti emotivi, e nel momento in cui il praticante mette veramente in pratica ciò che lei/lui ha imparato, la relazione si frantuma. Nel mondo di ogni giorno, gli investimenti emozionali normalmente non sono esaminati, e viviamo un'intera vita aspettando di essere ricambiati. Don Juan disse che ero un investitore duro a morire e che il mio modo di vivere e provare sentimenti poteva essere descritto semplicemente: "Io do solo ciò che gli altri mi danno."

D: Quale aspirazione di un possibile miglioramento dovrebbe avere qualcuno che desideri lavorare spiritualmente secondo la conoscenza divulgata nei suoi libri? Che cosa raccomanderebbe a coloro che desiderano praticare gli insegnamenti di don Juan da soli?

R: Non c'é modo di porre un limite su ciò che si può realizzare individualmente se l'intento è un intento impeccabile. Gli insegnamenti di don Juan non sono spirituali. Lo ripeto perché la questione è emersa più e più volte. L'idea di spiritualità non calza con la disciplina di ferro di un guerriero. La cosa più importante per uno sciamano come don Juan, è l'idea di pragmatismo. Egli distrusse le mie velleità e mi fece vedere che, da vero uomo occidentale, non ero né pragmatico né spirituale. Arrivai a capire che ripetevo la parola "spiritualità" per contrastarla con l'aspetto mercenario del mondo della vita quotidiana. Volevo fuggire dal mercantilismo del mondo della vita di ogni giorno ed il forte desiderio di fare questo lo chiamavo spiritualità. Realizzai che don Juan aveva ragione quando pretendeva che arrivassi ad una conclusione; di definire ciò che consideravo spiritualità. Non sapevo di che cosa stessi parlando.
      Quello che sto dicendo potrebbe suonare presuntuoso, ma non c'è altro modo di dirlo. Ciò che uno sciamano come don Juan vuole è aumentare la consapevolezza, cioè essere capaci di percepire con tutte le possibilità umane di percezione; questo implica un compito colossale ed uno scopo inflessibile, che non può essere rimpiazzato dalla spiritualità dell'uomo occidentale.

D: C'è qualcosa che lei vorrebbe spiegare alla gente sud-americana, in special modo ai cileni? Vorrebbe fare qualche altra dichiarazione in aggiunta alle sue risposte alle nostre domande?

R: Non ho nulla da aggiungere. Tutti gli esseri umani sono allo stesso livello. All'inizio del mio apprendistato, don Juan Matus provò a farmi vedere come la situazione dell'uomo fosse comune a tutti. Io, da sudamericano, ero molto coinvolto, intellettualmente, con l'idea della riforma sociale. Un giorno rivolsi a don Juan quella che pensavo fosse una domanda assoluta: Come può rimanere impassibile di fronte alla situazione terribile dei suoi compagni uomini, gli indiani yaqui di Sonora?
      Sapevo che una certa percentuale della popolazione yaqui soffriva di tubercolosi e che, a causa della loro situazione economica, non potevano curarsi.
      "Sì", disse don Juan, "E' una cosa molto triste ma, vedi, anche la tua situazione è molto triste, e se credi di essere in condizioni migliori degli indiani yaqui, ti stai sbagliando. In generale la condizione umana è in un orrendo stato di caos. Nessuno sta meglio di un altro. Siamo tutti esseri che stanno andando a morire e, a meno di essere consapevoli di questo, per noi non c'è rimedio."
      Questo è un'altro punto del pragmatismo degli sciamani: divenire consapevoli che siamo esseri che stanno andando a morire. Essi dicono che quando impariamo questo, tutto acquista un ordine e una misura trascendentali.

trovata qui: http://www.cleargreen.com/mirrors/italian/interviews/index.htm

giovedì 26 novembre 2009

È TUTTO DENTRO


C’era una volta un anziano che passava i giorni seduto vicino ad un pozzo all’entrata di un paese. Un giorno, un giovane gli si avvicinò e gli chiese: “Io non sono mai venuto da queste parti, come sono gli abitanti di questa città?” L’anziano gli rispose con un’altra domanda:
“Come erano gli abitanti della città dalla quale vieni?”
Egoisti e malvagi, per questo motivo mi sento contento di essere andato via di là”.
“Così sono gli abitanti di questa città”, gli rispose l’anziano.
Un po’ dopo, un altro giovane si avvicinò all’anziano e gli fece la stessa domanda: “Sto arrivando in questo luogo, come sono gli abitanti di questa città?”
L’anziano, di nuovo, gli rispose con la stessa domanda:
“Come erano gli abitanti della città da dove vieni?”
“Erano buoni, generosi, ospitali, onesti, lavoratori. Avevo molti amici e mi è costato
molto separarmi da loro”.
“Anche gli abitanti di questa città sono così”, rispose l’anziano.
Un uomo che aveva portato i suoi animali a bere acqua al pozzo e che aveva ascoltato la conversazione, non appena il giovane se allontanò disse all’anziano: “Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda fatta da due persone?”
“Guarda” - gli rispose - “ognuno porta l’universo nel suo cuore”.
“Chi non ha trovato niente di buono nel suo passato, tanto meno lo troverà qui”.
Invece, quello che aveva amici nella sua città, troverà anche qui amici leali e fedeli.
Perché le persone sono ciò che trovano in se stesse, trovano sempre quello che si aspettano di trovare”.
“TUTTO IL BUONO E IL BELLO DELLA VITA DI CUI HAI BISOGNO LO PORTI DENTRO DI TE. SEMPLICEMENTE LASCIALO USCIRE”

martedì 17 novembre 2009




-NOVERO DEI VALAR-


Nel principio Eru, l’Uno, che nella lingua elfica è detto Ilùvatar, creò gli Ainur dalla propria mente; e gli Ainur intonarono una Grande Musica al suo cospetto. In tale Musica, il Mondo ebbe inizio, poiché Ilúvatar rese visibile il canto degli Ainur, e costoro lo videro quale una luce nell’oscurità. E molti di loro si innamorarono della sua bellezza e della sua vicenda che videro cominciare e svolgersi come in visione. Per tale ragione Ilúvatar conferì Essere alla loro visione, e la collocò in mezzo al Vuoto, e il Fuoco Segreto fu inviato ad ardere nel cuore del Mondo; e questo fu chiamato Eä. Poi, quelli degli Ainur che lo desideravano si levarono ed entrarono nel Mondo al principio del Tempo; e il loro compito fu di completarlo, e con le loro fatiche di attuare la visione che avevano scorto. A lungo essi travagliarono nelle regioni di Eä, la cui vastità trascende il pensiero di Elfi e Uomini, finche a tempo debito fu fatta Arda, il Regno della Terra. Poi essi assunsero abito terrestre, e in essa scesero e vi dimorarono.

I VALAR
I Grandi tra questi spiriti, dagli Elfi son detti Valar, cioè le Potenze di Arda, e gli Uomini li hanno spesso denominati dei. Sette sono i signori dei Valar; e sette sono anche le Valier, le Regine dei Valar. Questi i loro nomi nella lingua elfica parlata a Valinor, benché altri ne abbiano nel linguaggio degli Elfi nella Terra di Mezzo, e plurimi siano i loro nomi tra gli Uomini. Ecco, nel debito ordine, i nomi dei Signori: Manwë, Ulmo, Aulë, Oromë, Mandos, Lórien e Tulkas; e i nomi delle Regine sono: Varda; Yavanna, Nienna, Estë, Vairë, Vána e Nessa. Melkor non è più annoverato tra i Vala, e il suo nome non viene pronunciato sulla Terra.
Manwë e Melkor erano fratelli nella mente di Ilùvatar. Il più possente di quegli Ainur che vennero nel Mondo era, all’inizio, Melkor; Manwë però il più caro a Ilùvatar, quegli che più chiaramente ne intende i propositi. Egli era destinato ad essere, nella pienezza dei tempi, il primo di tutti i Re: signore del reame di Arda e sovrano di quanto vi dimora. In Arda, il suo diletto sono i venti e le nuvole, e tutte le regioni dell’aria, dalle supreme altezze alle profondità, dagli estremi confini del Velo di Arda alle brezze che alitano tra l’erba. Súlimo è il suo soprannome, cioè Signore del Respiro di Arda. Tutti gli uccelli veloci, forti d’ala, egli ama, ed essi vanno e vengono al suo comando. Con Manwë dimora Varda, Signora delle Stelle, che conosce tutte le regioni di Eä. Troppo grande è la sua bellezza per essere detta con le parole di Uomini o di Elfi; chè la luce di Ilùvatar ancora le splende in volto. Nella luce sono la sua potenza e la sua gioia. Dalle profondità di Eä essa è uscita per dare aiuto a Manwë; chè Melkor essa lo conosceva prima che fosse fatta la Musica e l’aveva respinto, ed egli la odiava e la temeva più di quant’altri Eru avesse creato. Manwë e Varda raramente si separano, ed essi rimangono in Valinor. Le loro aule stanno più in alto delle nevi eterne, sopra Oiolossë, la più sublime torre di Taniquetil, la più alta di tutte le montagne della Terra. Quando Manwë quivi si siede sul trono e si guarda attorno, e Varda è seduta accanto a lui, i suoi occhi vedono più in là di ogni altro occhio, attraverso brume e tenebre, oltre leghe e leghe di mare. E se Manwë è con lei, l’orecchio di Varda ode più chiaramente di ogni altro orecchio il suono di voci che clamino da est e da ovest, da colli e da valli e dai luoghi bui che Melkor ha fatto sulla Terra. Di tutti i Grandi che dimorano in questo mondo, gli Elfi riveriscono e amano soprattutto Varda. Elbereth, così la chiamano, e ne invocano il nome dalle ombre della Terra di Mezzo e lo estollono in canti al sorgere delle stelle.
Ulmo è il Signore delle Acque. Egli sta solo. Non dimora a lungo in nessun luogo, ma si muove a piacimento in tutte le acque profonde sopra e sotto la Terra. È appena inferiore per potenza a Manwë, e prima che Valinor fosse fatta era il suo amico più intimo: da allora, però, di rado si è recato ai concili dei Valar, se non per trattare questioni di grande momento. Egli infatti ha tutta quanta Arda nella propria mente e non ha necessità di alcuna dimora. Inoltre, non ama camminare sulla Terra, e di rado si veste di un corpo a mo’ dei suoi pari. Se i Figli di Eru lo scorgevano, venivano colti da grande sgomento, poiché il levarsi del Re del Mare era terribile, a guisa di montante onda che s’avventi alla terra con scuro elmo crestato di schiuma e coperta di cotta svariante dall’argento alle tonalità del verde. Le trombe di Manwë sono fragorose, ma la voce di Ulmo è profonda come le profondità dell’oceano che lui solo ha visto.
Ciò non toglie che Ulmo ami sia Elfi che Uomini, e mai li abbandoni, anche quando sono colpiti dall’ira dei Valar. A volte egli approda, non visto, sulle rive della Terra di Mezzo o si spinge all’interno lungo estuari, e quivi intona musica con i suoi grani corni, gli Ulumúri, che sono ricavati da candide conchiglie; e color ai quali quella musica giunge, sempre più la odono nei loro cuori, e il desiderio del mare mai più li abbandona. Ma, soprattutto, Ulmo parla a coloro che abitano nella Terra di Mezzo con voci che sono udite soltanto come musica dell’acqua, poiché tutti i mari e i laghi sono sotto il suo dominio; sicché gli Elfi sostengono che lo spirito di Ulmo scorra per tutte le vene del mondo. E così accade che a Ulmo pervengano, persino nelle profondità, notizie di tutti i bisogni e pene di Arda, che altrimenti resterebbero celate a Manwë.
Aulë è dotato di potenza poco inferiore a quella di Ulmo. Il suo dominio si esercita su tutte le sostanze onde è fatta Arda. All’inizio, molto ha operato di conserva con Manwë e Ulmo; e sua fattura è plasamazione di tutte le terre. Egli è un fabbro e maestro in tutti i mestieri, e trae diletto da lavori d’abilità, ancorché minuti, non meno che della possente edificazione d’un tempo. Sue sono le gemme che giacciono nel profondo della Terra, suo l’oro bello da tenere in mano, non meno delle pareti dei monti e dei bacini dei mari. I Noldor hanno imparato soprattutto da lui, che è sempre stato loro amico. Melkor ne era geloso, perché Aulë era assai simile a lui per mente e poteri; e vi è sta discordia tra loro, con Melkor che sempre guastava o sfaceva le opere di Aulë, e questi s’affaticava a mettere riparo ai tumulti e ai disordini provocati da Melkor. Entrambi desideravano far cose proprie, le quali fossero nuove e impensate da altri, e ricavavano piacere dalla lode per la loro abilità. Aulë però restava fedele a Eru, assoggettando alla sua volontà tutto ciò che faceva; e non invidiava le opere altrui, ma domandava e offriva consiglio. Melkor invece era tutto invidia e odio, sì che alla fine non poté far nulla se non a derisione del pensiero di altri cui distruggeva, quando poteva, ogni opera.
La sposa di Aulë è Yavanna, la Dispensatrice di Frutti. Essa ama tutte le cose che crescono sulla terra, e ne conserva nella propria mente le innumerevoli forme, da quelle degli alberi simili a torri nelle foreste d’un tempo, al muschi sulle pietre o alle piccole e segrete cose nell’argilla.
Tra le Regine dei Valar, Yavanna è riverita quasi quanto Varda. In forma di donna è alta, vestita di verde; a volte però assume anche altri sembianti. Certuni l’han vista starsene come un albero sotto il cielo, coronata dal Sole; e da tutti i suoi rami stillava una rugiada dorata sulla terra spoglia, che si rivestiva di verde grano; le radici dell’albero s’affondano però nelle acque di Ulmo, e i venti di Manwë parlano tra le sue foglie. Kementári, Regina della Terra, così e soprannominata nella lingua degli Eldar.
I Fëanturi, signori di spiriti, sono fratelli, e per lo più son detti Mandos e Lórien. Questi però a rigor di termine sono i nomi dei luoghi in cui dimorano, mentre i loro nomi sono Námo e Irmo.
Námo, il maggiore, dimora in Mandos, che si trova nella parte occidentale di Valinor. Egli è il custode delle Case dei Morti, colui che convoca gli spiriti del massacro. Nulla dimentica; e conosce tutte le cose che saranno, eccezion fatta soltanto per quelle che ancora stanno nel libero arbitro di Ilùvatar. Egli è preposto al destino dei Valar; ma pronuncia le sue sentenze e i suoi giudizi soltanto al comando di Manwë. Vairë la Tessitrice è la sua sposa, la quale iscrive nelle sue reti istoriate tutte le cose che mai sian state nel Tempo, e le aule di Mandos, che sempre più si dilatano a mano a mano che le era passano, ne sono tappezzate.
Irmo, il minore, è signore delle visioni e dei sogni. I suoi giardini stanno in Lórien, nella terra dei Valar, e sono i più belli di tutti i luoghi del mondo, affollati di molti spiriti. Estë la gentile,che medica ferite e stanchezza, è la sua sposa. Grigio è l’abito di Estë; e il riposo è il suo dono, di giorno non s’aggira, ma dorme su un’isola nel lago di Lórellin ombreggiato d’alberi. Dalle fonti di Irmo ed Estë, tutti coloro che dimorano in Valinor traggono riposto e sollievo dal fardello di Arda.
Più potente di Estë è Nienna, sorella dei Fëanturi; essa dimora da sola. Le è noto il dolore, e si lamenta di ogni ferita sofferta da Arda per i guasti di Melkor. Così grande fu la sua pena quando la Musica eruppe, che il suo canto si trasformò in lamento assi prima che terminasse, e che questo avesse inizio. Ma essa non piange per sé; e coloro che la odono, apprendono la pietà e a perseverare nella speranza. Le sue aule si trovano ad occidente dell’Occaso, ai confini del mondo; di rado essa viene alla città di Valimar, dove tutto è letizia. Si reca piuttosto alle aule di Mandos, poste vicino alle sue; e tutti color che in Mandos attendono, la invocano perché essa arreca forza di spirito e trasforma il dolore in saggezza. Le finestre di casa sua guardano fuori dalle pareti del mondo.
Massimo in forza e atti di prodezza è Tulkas, soprannominato Astaldo, il Valoroso. Egli è giunto per ultimo in Arda, ad aiutare i Valar nelle prime battaglie con Melkor. Trae piacere dalla lotta e dalle prove di forza; e non cavalca destriero, per la semplice ragione che può superarene alla corsa tutte le creature che vanno a piedi, ed è instancabile. Ha i capelli e la barba dorati, il suo incarnato è roseo; le sue armi sono le mani. Poco si cura sia del passato che del futuro,e a nulla vale come consigliere, ma è un amico costante. Sua sposa è Nessa, la sorella di Oromë, la quale è anch’essa agile e pieveloce. Ama i daini, che la seguono in corteo ovunque vada per le selve; ma essa può superarli alla corsa, veloce come una freccia, i capelli al vento. Trae diletto dalla danza, e a Valimar danza su prati dal verde sempre intatto.
Oromë è un possente signore. Ha forza minore di Tulkas, ed è più spaventoso nella collera; laddove Tulkas sempre ride, nel diporto e in guerra, e anche in faccia a Melkor rideva durante le battaglie di prima che gli Elfi nascessero. Oromë amava le contrade della Terra di Mezzo, e le lasciò a contraggenio e giunse per ultimo in Valinor; e sovente, in tempi antichi, riandava ad est superando i monti, e con il suo esercito tornava ai colli e alle piane. È un cacciatore di mostri e bestie feroci, che si diletta di cavalli e cani; e ama tutti gli alberi, ragion per cuoi è detto Aldaron e, dai Sindar, Tauron, cioè Signore di Foreste. Nahar è il nome del suo cavallo, bianco al sole e che splende argenteo la notte. Valaróma, così si chiama il suo grande corno, il cui suono è simile all’ascendere del Sole nello scarlatto o al lampo che si staglia squarciando le nuvole. Lo si udiva al di sopra di tutti i corni del suo esercito, nei boschi che Yavanna ha fatto crescere in Valinor; ché ivi Oromë addestrava le sue genti e le sue bestie all’inseguimento delle cattive creature di Melkor. La sposa di Oromë è Vána, la Sempregiovane; è la sorella minore di Yavanna; fiori d’ogni genere sbocciano ovunque passa e si aprono se vi posa sopra lo sguardo; a al suo giungere cantano tutti gli uccelli.

Questi sono i nomi dei Valar e delle Valier, e si è dato conto in breve del loro sembiante, quali gli Eldar li videro in Aman. Ma, per belle e nobili che fossero le forme con cui si manifestavano ai Figli di Ilùvatar, non erano che un velo che ne ricoprivano la bellezza e la potenza. E, se poco qui si dice di tutto ciò che gli Eldar un tempo sapevano, è un nulla se paragonato al loro vero essere, che rimonta a regioni ed ere di gran lunga trascendenti il nostro pensiero. Tra essi, Nove erano supremi in potere e in considerazione; uno però è stato tolto dal novero, e ne restano Otto, gli Aratar, i Supremi di Arda: Manwë e Varda, Ulmo, Yavanna e Aulë, Mandos, Nienna e Oromë. Benché Manwë sia il loro Re e li mantenga soggetti a Eru, per maestà sono pari, superiori al confronto di chiunque altro, sia dei Valar che dei Maiar, e a ogni altra specie inviata da Ilùvatar in Eä.

I MAIAR

In una con i Valar giunsero gli altri spiriti la cui esistenza del pari ebbe inizio prima del Mondo, dello stesso ordine dei Valar ma di grado minore. E sono costoro i Maiar, il popolo dei Valar e i loro servi e ausiliari. Il loro numero è ignoto agli Elfi, e pochi tra loro hanno nomi in questa o quella delle lingue dei Figli di Ilùvatar; ché, sebbene altrimenti stiano le cose in Aman, nella Terra di Mezzo ben di rado i Maiar si sono mostrati in forma visibile a Elfi e Uomini.
I principali tra i Maiar di Valinor i cui nomi sono ricordati nelle storie dei Giorni Antichi, sono Ilmarë, l’ancella di Varda, ed Eönwë, l’alfiere e araldo di Manwë, la cui possanza nel maneggio delle armi non è superata da nessuno in Arda. Ma, fra tutti i Maiar, Ossë e Uinen sono i più noti ai Figli di Ilùvatar.
Ossë è un vassallo di Ulmo, ed egli è il signore delle acque che lambiscono le rive della Terra di Mezzo. Non scende nelle profondità, ma ama le coste e le isole e si delizia dei venti di Manwë, ché nella tempesta egli gioisce e ride tra il fragore delle onde. Sua sposa è Uinen, la Signora dei Mari, i cui capelli sono sparsi per tutte le acque sotto il cielo. Tutte le creature essa ama che vivono nelle salse correnti, e tutte le erbe che vi crescono; lei invocano i marinai, poiché essa può giacere tranquilla sulle onde, placando il furore di Ossë. I Númenórean a lungo vissero sotto la sua protezione, facendola oggetto di riverenza uguale a Valar.
Melkor odiava il mare perché non riusciva a sottometterlo. Si dice che durante la costruzione di Arda, tentasse di tirare dalla sua Ossë, promettendogli l’intero regno e il potere di Ulmo purché lo servisse. E così accadde che, molto tempo fa, nel mare si verificassero grandi tumulti che apportarono rovina alle terre. Ma Uinen, su preghiera di Aulë, raffrenò Ossë e lo portò al cospetto di Ulmo; ed egli fu perdonato e restituito alla sua obbedienza, alla quale è rimasto fedele. O, per meglio dire, quasi sempre, ché il piacere della violenza mai l’ha abbandonato del tutto, e a volte imperversa nella sua ostinazione, senza che glielo comandi Ulmo suo signore. Ragion per cui coloro che dimorano presso il mare o lo solcano a bordo di navi possono anche amarlo, ma non se ne fidano.
Melian era il nome di una Maia che serviva sia Vána che Estë; a lungo essa visse a Lórien, curando gli alberi che fioriscono nei giardini di Irmo, prima di portarsi nella Terra di Mezzo. Usignoli le cantavano tutt’attorno ovunque andasse.
Saggio sovra tutti i Maiar era Olórin. Anch’egli dimorava in Lórien, ma le sue strade lo conducevano spesso alla casa di Nienna, da cui apprese pietà e pazienza.
Di Melian molto si riferisce nel Quenta Silmarillion. Ma di Olórin non vi si fa parola; ché, sebbene amasse gli Elfi, s’aggirava tra loro invisibile oppure in forma di uno di essi, i quali ignoravano donde venissero le belle visioni o i suggerimenti di saggezza che metteva nei loro cuori. Più tardi, divenne amico di tutti i Figli di Ilúvatar, per i cui dolori si impietosiva; e coloro che lo ascoltavano si riscuotevano dalla disperazione e accantonavano le immaginazioni dell’oscurità.

I NEMICI

Per ultimo vien fatto il nome di Melkor, Colui che leva in Possanza. Ma è un nome, il suo, che egli ha usurpato; e i Noldor, che tra gli Elfi massimamente soffrivano la sua malizia, non lo pronunciano, chiamandolo invece Morgoth, lo Scuro Nemico del Mondo. Grande fu la potenza conferitogli da Ilúvatar, ed egli era coevo di Manwë. Era dotato dei poteri e della conoscenza di tutti gli altri Valar, ma li volgeva a perfidi scopi, e sperperava la propria forza in atti di violenza e di tirannide. Ché bramava Arda e tutto quanto vi si trovava, agognando al trono di Manwë e al dominio sui reami dei suoi pari.
Dallo splendore decadde, a causa dell’arroganza, al disprezzo di tutte le cose, salvo se stesso, spirito funesto e impietoso. La comprensione egli la trasformava in sottigliezza, onde pervertire e sottomettere alla propria volontà quanto gli servisse, fino a divenire mentitore svergognato. Cominciò con il desiderio di Luce, ma quando non poté impadronirsene in esclusiva, calò, tra fuoco e ira, in una grande fiammata, nel profondo della Tenebra. E della tenebra si servì soprattutto nelle sue malvagie opere su Arda, riempiendo di paura tutte le creature viventi..
Pure, tanto grande era la possanza della sua rivolta, che, in ere dimenticate, egli ebbe contesa con Manwë e tutti i Valar, e per molti anni in Arda ebbe dominio su gran parte delle contrade della Terra. Ma non era solo. Molti dei Maiar, infatti, vennero attratti dal suo splendore nei giorni della sua grandezza, e gli rimasero fedeli anche nella tenebra; e altri li corruppe in seguito, asservendoseli con menzogne e perfidi doni. Spaventosi tra questi spiriti erano i Valaraukar, i flagelli infuocati che nella Terra di Mezzo erano chiamati Balrog, demoni di terrore.
Tre quelli dei suoi servi che hanno nomi, il massimo era lo spirito che gli Eldar chiamavano Sauron, ovvero Gorthaur il Crudele, che all’origine fu dei Maiar di Aulë e continuò ad avere grande parte nella tradizione di quel popolo. In tutte le imprese di Melkor il Morgoth in Arda, in tutte le sue diramate opere e negli inganni della sua astuzia, Sauron aveva parte, ed era meno perfido del suo padrone solo in quanto a lungo servì un altro anziché se stesso. Ma in tardi anni si levò simile a ombra di Morgoth e a un fantasma della sua malizia, e lo seguì passo passo, lungo il rovinoso sentiero che lo trasse giù nel vuoto.
FINE DEL VALAQUENTA


Tratto da "Il Silmarillion" di J.R.R. Tolkien

domenica 8 novembre 2009

SI FA PRESTO A DIRE GNOSI



Lettera aperta ai neognostici fumettari marvellisti di ritorno

Al contrario di alcuni teologi cattolici sedevacantisti, teocon, focolarini, introvignini, etc etc, non è mia abitudine mettere l'iniziazione, l'esoterismo, ecc., nel calderone del diavolo. Ma da qui e considerare qualunque testo, linea iniziatica e dottrina dell'antichità, valida perché gnostica, ce ne passa. Ritengo problematico sempre gettare in piazza strumenti così affilati di cui non si conosce lo spirito, e, peggio, non si ha esperienza diretta. È come ritenere il cantautore siculo Franco Battiato un guru, sol perché cita il catalogo Adelphi nei testi delle sue canzonette. Suvvia, amici. Paolo predicò ai greci sull'Areopago che, dopo Cristo, anche i greci e tutti gli altri Gentili, risvegliati nell'anima, potevano attingere la Divinità: processo di deificazione del Nous.
Tutto è prefigurazione, dai miti greci, presi dall'antico Egitto e dall'India interiore, quindi il Cristianesimo è esoterismo per eccellenza. E l'esoterico non è in contrapposizione con l'essoterico: simboli,riti,sacramenti,misteri. Oltre la metafisica, ancorata ai testi sacri, c'è il Mistero. Senza alcuna remora, dopo anni di travagli esistenziali e conoscitivi, mi riapproprio anche della "gnosis"; anzi, la nostra conoscenza è anche epi-gnosis, cioè conoscenza suprema, da cui iniziazione suprema. Il cristiano vero è anche il vero gnostico. Ho praticato con aggiustamenti lo yoga per anni, scevro da implicazioni religiose, tuttavia siccome non si tratta solo di una tecnica anti-stress come ormai in Occidente è in uso, ho constatato che non si possono estrapolare le dottrine dall'ascesi e allora ho preferito lo "jugum Christi": ho intinto la mano nella sua Passione, Crocifissione e Morte, Resurrezione per essere salvato, poi se ci sono riuscito è un altro paio di maniche. Nigredo, Albedo e Rubedo.
Se escludiamo qualificazioni specialissime, per noi occidentali gli innamoramenti per la filosofia indiana, cinese e tibetana, sono a dir poco problematici. Pensate, credo che persino Guènon sia incorso in un deplorevole e drammatico errore spirituale, andandosi ad imbarcare in iniziazioni islamiche non proprio regolari, figuratevi cosa può accadere per i meno qualificati. Agli orientaleggianti in generale, vorrei dire che dimostrano di avere soltanto un'iniziazione libresca. Non si può impunemente amoreggiare con dottrine di altre tradizioni sapienziali o, peggio, di conventicole eterodosse. Nell'India profonda, quella lontana dai riflettori occidentali, si adora anche Gesù il Santissimo, il decimo Avatar, quello puntualizzante (ossia il punto nel cerchio). Quanto al tentativo, velleitario è dir poco, di taluni a ripristinare antiche sapienze, senza regolarità iniziatica, credo proprio che prendano un abbaglio colossale. Nessun mortale può far rivivere e vivificare simboli o riti di tradizioni sapienziali ormai estintesi, soltanto interventi celesti, micheliti per la precisione (in questo Steiner aveva subodorato qualcosa), possono ristabilire in terra ciò che si è spezzato. L'incontro col Re, questo è il vero significato di Messia, comporta la trasmutazione del DNA, una iniziazione quindi compiuta e totalizzante. Certo, non basta il rito, ci vuole ben altro, ma quella è la via.

martedì 3 novembre 2009

MEDITAZIONI IN PUNTA DI BLOG





Sì, intuitivamente e cognitivamente, sono una persona religiosa, ma non in un modo istituzionale. Sento fortemente che siamo singole parti di qualcosa. La cosa incredibile è che siamo su questa terra dopo tutto, anche se il provocatore che è in me vorrebbe dirmi che ciò è matematicamente meno incredibile rispetto alla possibilità che ci sia la vita dopo la morte, l’esistenza di altre dimensioni o la vita su altri pianeti. Quando gli esseri umani videro i fulmini per la prima volta, deve essergli scoppiato il cervello. Ma quando qualcuno vide il primo lampo, qualcun altro deve aver successivamente detto: “Eilà! Il nonno disse di aver incontrato qualcuno, che ha parlato di qualcuno il cui fratello ha sentito qualcuno parlare di queste cose". Ma oggi viviamo in un tempo che non ha più nulla di spirituale. Le persone non credono in niente e comprano cose per distrarsi, oppure appartengono a club del “io sono giusto”, “tu sei sfigato”, che dal punto di vista spirituale equivale a una Jaguar con i sedili rivestiti in pelle.
Forse la cosa migliore è passare qualche settimana nella più assoluta solitudine. Gesù e Buddha credevano fortemente in questo. Io l’ho fatto e sono arrivato a 14 giorni circa, dopo i quali ti senti capace di entrare in sintonia con tutto quanto ti circonda. Questa è per me la spiritualità. Le nuove generazioni sembrano annoiate e senza ideali. Molto è cambiato oggi rispetto agli anni 60 e 70, almeno così affermano i nostalgici. Non sono nella posizione per affermarlo con sicurezza. Suppongo che molte persone abbiano forse creduto in qualcosa. La vita è più facile se hai dei piani, degli obiettivi, anche se sono confusi. La vita è più semplice e significativa se credi in qualcosa dopotutto.
“Nature abhorring a vacuum” (“La natura aborrisce il vuoto”, di Ruggero Bacone) è molto di più che un concetto scientifico. E all’inizio c’era… qualcosa o qualcuno! Questa potrebbe essere il mio drive, perché no?