Libera lo splendore prigioniero. Il tentativo è quello di attivare delle volontà, di far partire una scintilla che, raccolta da chi ci segue, crei una scarica permanente, un flusso. Verrà il momento in cui tutti gli sconvolgimenti cosmici si assesteranno e l’universo si aprirà per un attimo, mostrandoci quello che può fare l’uomo.

domenica 16 novembre 2008


LETTERA APERTA ALL'AMICO LUIGI

I maestri si incontrano sulla strada della Vita, o Altrove. Un giorno, il mio maestro mi insegnò a pensare, finalmente, da uomo libero. Poche parole. Fu tutto un tratto. Mi disse che sino ad allora avevo fatto bene, che meritavo un dono, una sorta di ricompensa. Che questo dono avrebbe però rappresentato un gran peso da sopportare, per tutta la vita. Oggi, riverso una parte di questo peso a quanti desiderano sopportarlo. Non si tratta di capire, lasciati condurre dall'intuizione, librati sulla reminiscenza, fallo a cuore aperto.

Non c'è più scienza senza spirito. La trasmutazione della materia è in atto e siamo noi a compierla. Noi, afferrando il Cielo. Per molti, invece, la vita è quello che succede mentre si è distratti da altre cose.

Dobbiamo fuggire da noi stessi, dalla nostra forma. Abbiamo paura. Cerchiamo aiuto, allora. Basta dilatare la mente e ciò che immagini sarà accanto a te.

Mutano le prospettive. L’introverso, il muto, il rigido e vitreo uomo che conoscevi sprizza, dopo essere morto, un’insospettata vitalità, una vitalità felice. La questione generale della felicità umana non è astratta: è un processo concreto che chiunque di noi conosce fin troppo bene e non esiste scrittore o filosofo che riesca a scalfire il problema. Si scrive su una grafite immune da geroglifici. Le nostre parole sono, da questo punto di vista, di un’inutilità sconfortante. Esse devono sortire altri esiti, devono avere un altro scopo. Le parole non consolano. 
A volte, tuttavia, sovvertono.
 
Piaceri, soldi o fama: non si scappa, questi tre veleni sono i filtri che gli umani si illudono di poter bere impunemente per ottenere la felicità. Non istanti di felicità, tratti di tempo transitori, più o meno brevi. La felicità è una pretesa, per l’umano: essa deve durare. L’umano reclama una stabilità incondizionata della felicità. Opera impossibile a cui si oppongono le leggi fisiche e ultrafisiche dell’universo intero. Da dove proviene l’idea di una felicità naturale, una felicità stabile ed eterna? Forse l’abbiamo conosciuta? Poiché è chiaro che ogni idea reclama una potenzialità in noi, conoscevamo già quell’intuizione, che riscopriamo avendola dimenticata. 

Dante utilizzava una donna schermo, puntava il fuoco della vista su una ragazza per osservarne, sfocata, una seconda, nei pressi della prima, che era l’obbiettivo reale del suo interesse, della sua pulsione d’amore.

Non esiste impresa autentica senza un minimo di accecamento volontario. 

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