Libera lo splendore prigioniero. Il tentativo è quello di attivare delle volontà, di far partire una scintilla che, raccolta da chi ci segue, crei una scarica permanente, un flusso. Verrà il momento in cui tutti gli sconvolgimenti cosmici si assesteranno e l’universo si aprirà per un attimo, mostrandoci quello che può fare l’uomo.

venerdì 28 novembre 2008


SIAMO PROPRIETÀ ALTRUI?

Gli uomini comuni non sanno quali potenti forze invisibili agiscono nella storia. Sono forze a volte in lotta tra di loro, espressione di centri occulti che hanno un influsso straordinario sui destini del mondo. Tanto più l'uomo è ignaro dei mondi occulti che lo governano, tanto più è manovrabile. Gli Antichi sapevano della presenza degli Dei, che agivano sulla loro vita e ne condizionavano il destino. Oggi ci allontaniamo sempre più dalla verità. Crediamo di essere liberi, padroni della nostra vita, ma la catena invisibile che ci lega ogni giorno si rafforza. Non c'è peggior schiavo di chi non sa vedere il laccio che lo imprigiona.

domenica 16 novembre 2008


Picnic at Hanging Rock
Film, Australia, 1975
di Peter Weir, con Rachel Roberts, Anne Lambert, Helen Morse

C’è stato un periodo in cui Peter Weir era vicino al Tempo Dei Sogni, lo percepiva, ci regolava il suo orologio. Che era fermo a mezzogiorno. Picnic ad Hanging Rock contiene gli stessi germi tematici che si ritroveranno due anni dopo nell’Ultima Onda, primo fra tutti la messa in scena di simbologie attinte da una mitologia precristiana, nel caso del film del ’77 quella aborigena. Il Tempo Dei Sogni, appunto. Come in una Grande Migrazione, anche il percorso del regista va dal nord a sud, da paese d’appartenenza a paese di destinazione; e se è l’Australia il punto di arrivo di un viaggio che è precipuamente culturale, quello di partenza non può non essere la Grecia antica. A scoprire un altro Tempo Dei Sogni. Il flauto di Pan di Gheorghe Zanfir è ufficialmente presentato sin dai titoli di testa: ufficialmente e di diritto entra il nome del Grande Dio Pan nel film, e in questa serie di considerazioni.

Brucia, strega, brucia
L’esaltazione della natura nei suoi aspetti meno culturalmente mediabili, ancorché asserviti ad un’estetica impeccabile e raffinatissima, è uno degli specifici stilistici di Picnic, domina l’incipit della storia come quello sperone basaltico domina l’Outback australiano. La Roccia Appesa, cioè sovrastante, incombente. Numen inest diceva un poeta latino, aleggia un nume. La sensazione è inequivocabile, perché è frutto di una nanotecnologia di dettagli perfetta; l’effetto, inevitabile. Picnic è un film a struttura debole - carente di tutto il baricentro, che nei thriller, o mystery story che siano, è necessariamente situato nel finale, in cui il payoff, la risoluzione del mistero, costringono l’autore a render conto di quanto promesso nel setup iniziale - perché il suo spirito propulsivo è tutto nei simboli, di cui trabocca letteralmente, simboli che verrebbero snaturati ad esser tradotti in situazioni articolate, hanno bisogno solo di pure immagini per essere evocati. La natura è il primo simbolo, il predominante, nella sua connotazione più eterogenea, irriducibile, antiumanistica.
Le collegiali si avvicinano a quella natura come visitatrici da un altro pianeta, senza sapere, solo avvertendo, percependo. E c’è parecchio da percepire, soprattutto da questa parte dello schermo; come per un trucco “gestaltico”, l’orchestrazione registica di Weir rende in qualche modo la somma delle corde toccate maggiore delle stesse prese individualmente. Il sole chino sulle donne, che tocca senza premere, obliquo attraverso l’aria quasi brumosa, e la percezione subliminale di una foschia incolore che sfasa appena il vedere, sembrano in qualche modo suggerire anche sollecitazioni per altre zone dello spettro percettivo: odori, ad esempio ma anche percezioni finissime, meno sensoriali, presentimenti, intuizioni para-normali; magari quella che lo stesso Weir ha tentato di indicare globalmente come “una più sottile esperienza del reale”. Ottenuta anche mettendo un velo da sposa sull’obiettivo della macchina da presa.
Le collegiali sono donne. È all’opera qui una specie di archetipico modello secondo il quale sono le donne le creature con un più intenso contatto con la dimensione ctonia della vita e del reale, più vicine alle profondità della terra che non alle elevazioni celesti, più pronte ad ascoltare Pan che Minerva. Più ninfe che vestali. Brucia strega, brucia: è il grido che ne verrà di conseguenza, di cui il cinema si ciberà rigurgitando capolavori come Dies Irae di Dreyer, o film importanti come The Virgin Suicides di Sofia Coppola. Perché come nel film di Weir si vede chiaramente, le donne sono un mistero e hanno segreti; sanno ritrovare una via che in qualche modo l’uomo ha perso, e forse non può più seguire. Il nobilgiovane inglese tenterà la scalata della roccia per ritrovare Miranda, ma le ferite che riporterà saranno visibili e profonde, e la salita stessa bruscamente interrotta.

Caduta, discesa, abbandono
La polarizzazione di tema e controtema è del tutto palese, è una dolorosa antitesi da un lato tra educazione di stampo vittoriano al graduale disconoscimento delle proprie radicali pulsioni animalesche, vitali in quanto naturali e naturali in quanto vitali; e il mesmerismo della Roccia, indefinito, panico, titanico, dall’altro lato. È in questa lotta che dobbiamo probabilmente ricercare la soluzione del mistero; non è una vicenda in background, è “la” vicenda, il conflitto. Weir ha dichiarato di aver volutamente cercato la strada dell’ipnosi, della fascinazione irrazionale, per timore che un pubblico troppo poco ammaliato dal film si risentisse per una carenza nel testo così ovvia: la mancanza di un perché, di un dove, di un cosa. La mancanza di una soluzione. Eppure è proprio il fascino dell’irrazionale l’indizio per la soluzione, ma è una soluzione che potrebbe lasciare interdetti gli amanti “del genere”, molto meno metabolizzabile del comodo wormhole di turno, l’immancabile varco spazio-tempo.
“Cadono in un crepaccio” ammise il regista, costretto da un giornalista a dire quale fosse la sua chiave di lettura “da spettatore”. Discesa, pensiamo subito, non caduta. Nel continente più giovane politicamente, quindi più vecchio, più vergine di tutti, un budello antico milioni di anni che conduce chissà dove, “magari al centro della Terra”, dipinto entro una cornice naturalistica così carica da essere quasi un tributo alle atmosfere decadenti di Losey, non può non essere un Luogo, un varco per gli inferi, un viatico per quella parte di sé più di ogni altra messa in serio pericolo dall’ educazione di un collegio inglese per ragazze d’alta borghesia. La caduta è una discesa, è un ritorno, ma è anche, irreversibilmente, un abbandono. L’unico indizio che possiamo usare per tentare di seguire le tre donne è proprio questo metafisico assunto: la coincidenza tra micro e macro, tra orografia del paesaggio e geografia dell’anima, che non ha nulla di metaforico, non più di quanto Matrix sia una metafora della vita vera. “Se la mente muore, il corpo lo segue” dice nel film dei Wachowsky Morpheus (il dio greco del sonno, tra le cui braccia scivolano con fare rituale le studentesse…). La scomparsa delle tre giovani acquista quindi il sapore di un atto di ribellione estrema da parte di una natura (umana? extraumana? la distinzione perde di senso) stanca di essere ridotta a metafora, a contesto, oggettualizzata e stilizzata. Il punto non è dove siano mai finite quelle tre, ma perché ci siano finite. La caduta accidentale va bene come qualsiasi altra fine, non è la fine il mistero. Picnic è un thriller metafisico.

Il richiamo di Pan

E così l’orologio che si ferma a mezzogiorno in punto (ora che secondo la mitologia classica era impregnata di valenze e potenzialità magiche) significa lo scollegarsi da una struttura, quella del tempo e della misurazione delle attività umane per fini produttivi-pragmatici, che controlla e raffina ponderatamente ogni atto, ogni pulsione, normalizza e seleziona. Spogliarsi: le ragazze e perfino l’insegnante megera si disfano dei propri vestiti; ritorna il corpo non appena si uccide il tempo, si affaccia una visione sessuata della realtà, pagana, scabra, inquietante. Tutt’altro che il quadro di Botticelli menzionato ad arte nella storia: nulla di così pagano e panico avrebbe potuto comparire in un dipinto di quel pittore, e sentirlo nominato in questo contesto crea un contrasto efficace, significativamente antitetico.
Il messaggio di Weir infuso in questa impressionante epifania panica è tanto più eversivo quanto più è inguainato in una forma che tocca vertici di classicismo, nell’impostazione formale: il flauto di Pan, la musica di Mozart, l’inizio del secolo diciannovesimo, ma anche il rigore dell’impalcatura narrativa, priva di qualsiasi concessione che sia anche solo uno sfogo di tensione. La tensione invece non trova valvole da cui defluire, chiude senza esplosione, si asciuga per ellissi, sfuma nella voce fuori campo che porta la chiusa della storia, nell’ammissione che no, al finale non s’è pensato. Il finale c’è eccome: gente che scompare, quando si trova, per caso o per causa, ad avere a che fare con strati dell’esistenza così sotterranei che non sospettava neanche di avere, così in profondità che non sono incrinati da parole, ragioni, equazioni. Strati che gridano, proclamano la propria esistenza, e infine pretendono. Il Grande Dio Pan si è svegliato e ha chiamato a sé tre donne. Protagoniste di una scena di orrore puro assolutamente memorabile, perché costruita con la grande arte della sottrazione. La processione di tre figure riprese di spalle, che, ondeggiando nell’innaturalezza di un passo rallentato cinematograficamente, scompaiono tra le fenditure della roccia senza mai voltarsi né prestare ascolto alle grida disperate della quarta compagnia, più pavida, meno pronta. Quello che non vediamo innesca la fantasia del mostro laddove sappiamo bene non doverci aspettare il mostro, non l’horror ma il dramma. Tre donne trasfigurate, stregate, anzi streghe. La strega è invisibile come la divinità a cui è devota (e Pan, che presterà le sembianze alle magre fantasie dei primi cristiani per aiutarli a costruirsi un proprio diavolo, era anche chiamato l’Invisibile). La strega, non serve vederla in volto per averne paura.

LETTERA APERTA ALL'AMICO LUIGI

I maestri si incontrano sulla strada della Vita, o Altrove. Un giorno, il mio maestro mi insegnò a pensare, finalmente, da uomo libero. Poche parole. Fu tutto un tratto. Mi disse che sino ad allora avevo fatto bene, che meritavo un dono, una sorta di ricompensa. Che questo dono avrebbe però rappresentato un gran peso da sopportare, per tutta la vita. Oggi, riverso una parte di questo peso a quanti desiderano sopportarlo. Non si tratta di capire, lasciati condurre dall'intuizione, librati sulla reminiscenza, fallo a cuore aperto.

Non c'è più scienza senza spirito. La trasmutazione della materia è in atto e siamo noi a compierla. Noi, afferrando il Cielo. Per molti, invece, la vita è quello che succede mentre si è distratti da altre cose.

Dobbiamo fuggire da noi stessi, dalla nostra forma. Abbiamo paura. Cerchiamo aiuto, allora. Basta dilatare la mente e ciò che immagini sarà accanto a te.

Mutano le prospettive. L’introverso, il muto, il rigido e vitreo uomo che conoscevi sprizza, dopo essere morto, un’insospettata vitalità, una vitalità felice. La questione generale della felicità umana non è astratta: è un processo concreto che chiunque di noi conosce fin troppo bene e non esiste scrittore o filosofo che riesca a scalfire il problema. Si scrive su una grafite immune da geroglifici. Le nostre parole sono, da questo punto di vista, di un’inutilità sconfortante. Esse devono sortire altri esiti, devono avere un altro scopo. Le parole non consolano. 
A volte, tuttavia, sovvertono.
 
Piaceri, soldi o fama: non si scappa, questi tre veleni sono i filtri che gli umani si illudono di poter bere impunemente per ottenere la felicità. Non istanti di felicità, tratti di tempo transitori, più o meno brevi. La felicità è una pretesa, per l’umano: essa deve durare. L’umano reclama una stabilità incondizionata della felicità. Opera impossibile a cui si oppongono le leggi fisiche e ultrafisiche dell’universo intero. Da dove proviene l’idea di una felicità naturale, una felicità stabile ed eterna? Forse l’abbiamo conosciuta? Poiché è chiaro che ogni idea reclama una potenzialità in noi, conoscevamo già quell’intuizione, che riscopriamo avendola dimenticata. 

Dante utilizzava una donna schermo, puntava il fuoco della vista su una ragazza per osservarne, sfocata, una seconda, nei pressi della prima, che era l’obbiettivo reale del suo interesse, della sua pulsione d’amore.

Non esiste impresa autentica senza un minimo di accecamento volontario. 

martedì 11 novembre 2008


Foto d'insieme della redazione di effedieffe

BLONDET & Co SUPERCATTOLICI D'ASSALTO ALLA PARROCCHIETTA


Il pur valente giornalista Maurizio Blondet, in collaborazione con altri eroici crociati, da anni confezionano strali, cannonate, fucilate ed anatemi verso coloro che professano altra religione che non sia quella cattolica tradizionalista, ma soprattutto dirigono la loro artiglieria pennaiola contro gli esoteristi d'annata e gli occultisti di ritorno. Nemmeno fossero la succursale di quei disperati, frustrati del cicap. Che poi vi siano potentati mondialisti anti-cristiani, ma più semplicemente contro la civiltà umana lo sostengo da tempo. Solo che non mi sogno di dare un volto umano, o un'etnia all'Oscuro Signore come fa Blondet. Ebbene sì, Blondet con petto ricolmo di medagliette e santini di latta, sponsorizzato da Santa Romana Chiesa (o almeno così ho sentito dire), cavalca l'onda del disprezzo prima dell'indagine, proiettando tutti i suoi umori cattivi su quanti non seguono, catechismo alla mano, norme, dogmi, magisteri sempre di SRC. Un suo valentissimo collaboratore – Stefano Maria Chiari, persona per bene e sicuramente in buona fede – col suo casellario giudiziario ben aggiornato, squaderna puntualmente una sfilza enorme di dossier investigativi su ogni forma possibile e immaginabile di magismo, misteriosofia, esoteriche esperienze, d'oriente e d'occidente. Ora, che la sempre Santa Romana Chiesa, abbia impellente bisogno di perseguire con pertinacia gli eretici moderni, dopo aver fatto indigesti spezzatini di carne umana nei secoli passati, e non soddisfatta scioglie i cani – se domenicani non so – per azzannare ogni cristiano smarrito nei fumi di chissà quale consorteria magica... mi sembra oltremodo sospetto e anacronistico. E siccome per natura dubito di chi dubita sempre e cammino muro muro quando piove, ho ragione di credere che Blondet & Co. abbiano seri problemi di prostata, fifa dislocata e turbamenti plesso sacrali. Non vorrei far diagnosi su due piedi come la citata ditta è uso appioppare, tuttavia quando un gruppo di adulti è impegnato spasmodicamente a perseguitare, verbalmente legnare, spiritualmente violentare, una umanità che tapina non condivide il sacro verbo di queste personcine tanto a modino, allora si vuol scatenare l'inferno, alla maniera del gladiatore romano di cinematografica memoria. Già si vive in un'epoca amara, senza Dio, che per un quarto d'ora di popolarità si farebbe, e si fa in effetti, di tutto, ove si scoppia di benessere perché non si è più capaci di affrontare il malessere dell'anima, dicevo è già dura la vita senza che Blondet ci scassi i gioielli di famiglia con le sue rodomontate teologiche. Per carità, libero pure di farlo, il problema riguarda però quanto seguito trascina, quanto riesce a contrabbandare per verità assoluta la sua verità, quanto di suo c'è e quanti per via indotta operano. Chi segue il mio blogghetto non può certo considerarmi un agnostico, anzi, ne un mangiapreti specializzato – anche se a volte... - per cultura e formazione perseguo la gnosi, la conoscenza non disgiunta dalla passione, l'eros non staccato dall'ordine, la fede non orfana dell'intelligenza, per cui penso di potermi permettere di esprimere un sentimento di fastidio per coloro che credono di detenere la verità, gli unici a sentirsi nel giusto, i più belli e buoni del reame. Le opinioni sono le camicie di Nesso del pensiero. Suvvia signor Blondet, dubiti qualche volta, si guardi allo specchio e prima di chiuder gli occhi per lo spavento ricordi che siamo ciuffi di polvere tenuti insieme dall'eterno elettrone.

P.S.
Su Gesù Cristo nessuno può avere il copyright.

LA FIAMMA SACRA NON SI ESTINGUE

Nelle nostre vene scorre il sangue luminoso dei Cesari, la forza dell'Europa carolingia, la potenza di Federico II, lo spirito indomito dei Templari, la gnosi pura di tutte le eresie spurie e tuttavia, come un fiume carsico, è necessario discendere sotto terra... ma la fiamma sacra non si estingue.

Se la superficie puzza, il profumo si è rifugiato nelle fogne, svuotatesi ormai di tutta la melma salita verso il potere. È un profumo raro, leggero, che pochi riescono a sentire. Ma esiste. Nel silenzio, nell’ombra, nel disinteresse dei mezzi d’informazione del regime, un gruppo di uomini lavora. Crea, non dal nulla, le basi per la rinascita. Vivifica ora, che sugli altari stanno gli dei di un culto bestiale, quello del denaro, la sua antica e sempre nuova religione.
È speranza che da queste nuove catacombe salga una nuova voce, che parla di verità, che infrange i vecchi feticci culturali, che dice a chiare lettere che il collettivismo, il materialismo, in natura non esistono e non potranno mai esistere. Che la viltà, l’intrallazzo, il mercanteggiamento, l’egoismo non sono doti. Che solo il coraggio di essere se stessi, la forza di respingere i falsi miti di quest’ epoca, la santa violenza della fede contro il dubbio, sono concetti che vale la pena di vivere, fuori dalle astrazioni di un mondo di carta stampata.
La voce dalle catacombe dove era stata ricacciata, sale. E cresce: e presto sarà tanto forte da spezzarvi le orecchie, servi del regno del denaro o dei formicai del pensiero unico. La voce della verità farà giustizia di voi, definitivamente.
La qualità è uno scarto, per la civiltà industriale. È finita nelle fogne, con i liquami di un mondo che è stato, e forse, rinnovato e corretto, ancora sarà, se sapremo restare liberi. Le fogne scorrono sotto le città, ovunque. E possono allargarsi, crescere, diventare voragini. Finché un giorno, il crollo purificatore non avrà deciso di inghiottire tutto. E sulle macerie il disprezzato concime farà crescere fiori. E ci ritroveremo sull’orlo della coscienza a contemplare con stupore e attesa la decadenza di un mondo impotente a capire e incapace di reggersi. È per questo che noi fieri europei daremo alla luce generazioni che vorranno conoscere la conquista e il sacrificio e vorranno saggiare il gusto della vittoria. La strada non sarà facile e la nostra esperienza non trasmettibile né con i libri né con le parole non servirà a molto. Sarà l’impulso del sangue e della giovinezza che spingerà oltre, a capire e ad amare la nostra Terra di Mezzo, che non sarà più la città dei politicanti, della corruzione e della dolce vita. Sarà un’ idea che ci aiuterà a ritrovare noi stessi ora smarriti e/o isolati in qualche
lontana/vicina contea. Ma il tempo passa... e con esso gli uomini. Quando tra un giorno, l’ Europa sarà nel suo fulgore di noi sarà rimasto solo ciò che avremo fatto. Non ciò che avremo detto. Ma su tutto e su tutti, tra i santuari d’Europa e le nostre bandiere al vento, sui bastioni della Terra di Mezzo, tra gli immortali monumenti, uno sfumato canto immortale si leverà: se non ci conoscete guardateci nel viso, veniamo dalla fogna e andiamo in paradiso! E scusateci Satana, ma noi crediamo solo in Dio.

lunedì 10 novembre 2008

SE SOLO FOSSI NATO

Se gli alberi fossero alti e l'erba bassa
come in qualche strano racconto
se qui e lì il mare fosse azzurro
oltre l'abisso che ci divide
se una palla di fuoco pendesse fissa nel cielo
per riscaldarmi per tutto un solo giorno
se soffice erba verde crescesse su grandi colline
io so quello che farei.
Nell'oscurità io giaccio
sognando che lì mi attendano grandi occhi freddi e gentili
e strade tortuose e porte silenziose
e dietro uomini viventi
meglio vivere un'ora
per combattere ed anche per soffrire
che tutti i secoli per cui ho governato gli imperi della notte
se solo mi dessero il permesso
dentro quel mondo di ergermi in piedi
io sarei buono per tutto il giorno
che avessi da passare in quella terra favolosa
da me non sentirebbero una parola
di egoismo o di vergogna
se solo potessi trovare un varco
se solo fossi nato.

Gilbert Keith Chesterton
SONO UN VAGABONDO DELLO SPIRITO

Sono un ribelle, un viandante che viene dai secoli, mi fermo all'Osteria della Vita, mi riscaldo alla fiamma del focolare e ne faccio tremare le travi con la mia allegra risata. Il tempo e lo spazio sono accidentali: sono primordiale. Sono di tutte le età. Mi potete figurare in atto di tracannar lunghe sorsate di buon vino rosso, frizzantino, alla Locanda delle Meraviglie o di scambiar frizzi con Cagliostro alla Taverna del Cinghiale Bianco, o di unirmi in discussioni con quella testa matta di Giordano Bruno nella sagrestia di una chiesa sconsacrata, o di affrontare un nichilista e di dare e ricever botte. Don Chisciotte e Sancio furono miei fratelli, Cellini mio cugino e Caravaggio compagno di vita. Scendo dal crepuscolo della favola, attraverso i secoli, fermandomi ovunque trovo buona compagnia, ovunque accolto cordialmente, perché non porto con me i culti dell'età, né le pedanterie di questa o di quella scuola. Ho la freschezza e l'immediatezza della visione del fanciullo. Non ho mai lasciato l'età dell'oro; non sono mai uscito alla luce del giorno dove il tono è grigio e le cose hanno perduto le loro immagini. Vivo in un mondo romanzesco popolato da giganti e gaio per il leggero riso delle fate... ed è un mondo più vero e reale di quello cartesiano. La vita per me è come un libro di tavole colorate che vedo senza commento ed esegesi. La mia visione è immediata, e grido a voce alta. Di qui l'audacia che confonde i formalisti, i quali sono dominati dalla regola e dalla autorità. Di qui la pioggia di paradossi che rovescio sugli altri. Ma questi paradossi non sono un artificio per attrarre l'attenzione, ne vanità ne per far colpo: essi sono il mio commento alla tavola colorata. Ci sono degli uomini che fanno economia della loro vita come l'avaro che fa economia del suo oro, e passano l'oggi preoccupandosi del domani. Io, invece, spendo la vita come un prodigo. Vivo una vita inconsiderata e sgombra d'ogni impaccio. Il mio è semplice vagabondaggio, senza alcun pensiero della meta, perché la meta ce l'ho nel cuore. Amo la disputa per la disputa. Sono indifferente all'argomento. Potete toccar con me qualunque soggetto, vi ricamerò sopra tutti i misteri del tempo e dell'eternità. Sono quasi inconsapevole delle esigenze normali della vita. Non so mai a che ora parta il mio treno e ciò che farò domani è un profondo mistero, come il contenuto delle mie tasche. Abito fuori di queste cose, nel regno delle idee. Se dovessi andar di fretta verso un posto, ci andrei in carrozza, facendomi prestare i denari della corsa dal cocchiere. Sono libero dalla tirannia delle cose. Ancorché vivessi in una tinozza, sarei un miliardario perché avrei come eredità l'universo.

sabato 8 novembre 2008


UNO STUDIO ALCHEMICO

"Resta seduto vicino al tuo forno...e non ti smarrire... il tuo corpo sia seduto, fai sedere anche le tue passioni. E dirigendo così te stesso accortamente, chiamerai a te il Divino. E allora realmente verrà da te il Divino che è dovunque." Zosimo di Panòpoli (IV Sec. a.C)


L'Alchimia è uno dei percorsi fondamentali della tradizione esoterica occidentale. Questa vera e propria "Arte della trasmutazione" permette ai suoi cultori di attrarre e catturare il cosiddetto "Spirito Universale" grazie a un misterioso "Magnete", tratto dal mondo minerale e opportunamente purificato e perfezionato con una serie di operazioni che porteranno alla creazione della "Pietra Filosofale". L'Alchimia viene definita Arte Regia, Arte Divina, per il suo carattere "sacrale" espresso attraverso termini e simboli di difficile comprensione, quali sono i tre ingredienti principali della Grande Opera - Solfo, Mercurio e Sale - che richiedono una sorta di iniziazione all'arcana "lingua degli uccelli" e un avvicinamento graduale alla Gran Dama, identificata da taluni con Sophia. Questo percorso - se compiuto nel rispetto delle procedure e delle operazioni di laboratorio che imitano la Natura - consente di pervenire a una "trasformazione" della materia (i cosiddetti "metalli vili"), ma anche dell'operatore, che potrà forse acquisire il preziosissimo Donum Dei, il "Dono di Dio". Una ricerca quindi di perfezionamento del mondo che ci circonda e di noi stessi attraverso una straordinaria esperienza conoscitiva.

giovedì 6 novembre 2008


Percezioni


Quando, nell’atteggiamento “naturale” che è quello di tutti gli esseri esistenti, io “vedo” una cosa, la mia percezione è spontanea, è la casa che percepisco e non la mia percezione stessa. Invece, nell’atteggiamento “trascendentale” è la mia percezione stessa che viene percepita. Ma questa percezione della percezione altera radicalmente lo stato primitivo. Lo stato vissuto, dapprima ingenuo, perde la sua spontaneità precisamente per il fatto che la nuova riflessione assume come oggetto ciò che era prima stato e non oggetto, e per il fatto che, fra gli elementi della mia nuova percezione, figurano non soltanto quelli della casa in quanto tale, ma quelli della percezione stessa in quanto flusso vissuto. E ciò che importa essenzialmente in questa “alterazione”, è il fatto che la visione concomitante che ho – in questo stato bi-riflessivo, o piuttosto di riflessione riflessiva – della casa che fu il mio motivo originale, lungi dall’essere perduta, allontanata o annebbiata dall’interporsi della mia seconda percezione davanti alla sua percezione primaria, ne risulta paradossalmente intensificata, più netta, più presente, più di prima carica di realtà oggettiva. Ci troviamo qui davanti ad un fatto ingiustificabile con la pura analisi speculativa: quello della trasfigurazione della cosa come fatto di coscienza, della sua trasformazione, come diremo più avanti, in “super-cosa”, del suo passaggio dallo stato di scienza allo stato di coscienza. Questo fatto è generalmente misconosciuto, benché sia quello che più colpisce di ogni esperimento fenomenologico reale. Tutte le difficoltà contro cui urtano la fenomenologia comune e del resto tutte le teorie classiche della “conoscenza” risiedono nel fatto che esse considerano la coppia coscienza-conoscenza (o più esattamente la coppia coscienza-scienza) capace di esaurire la sola totalità del vissuto, mentre si dovrebbe in realtà considerare la triade conoscenza-coscienza-scienza che è la sola a permettere un’impostazione realmente ontologica della fenomenologia. E certamente, nulla può rendere evidente questa trasfigurazione, tranne l’esperienza diretta e personale dello studioso di fenomenologia. Ma nessuno può pretendere di aver capito la fenomenologia realmente trascendentale se non ha fatto questa esperienza con successo e non ne è stato egli stesso “illuminato”.
Fosse anche il dialettico più sottile, il logico più acuto, colui che non l’ha affatto vissuta e che così non ha visto altre cose sotto le cose, non può fare che parole sulla fenomenologia e non può assumere un’attività realmente fenomenologica. Facciamo un esempio più preciso. Per quanto lontano risalgono i miei ricordi, ho sempre saputo riconoscere i colori, il blu, il rosso, il giallo. Il mio occhio li vedeva, ne avevo l’esperienza latente. Certo, il “mio occhio” non si interrogava su di essi, e come, del resto, avrebbe potuto porsi delle domande? La sua funzione è di vedere, non di vedersi mentre vede, ma il mio cervello stesso era come in sonno, non era affatto l’occhio dell’occhio, ma un semplice prolungamento di questo organo. Così dicevo soltanto, e quasi senza pensarci: questo è un bel rosso, un verde un po’ spento, un bianco brillante. Un giorno, alcuni anni fa, passeggiando fra le vigne del Vaud che sovrastano il lago Lemano e formano uno dei più bei paesaggi del mondo, un luogo così bello e così vasto che l’”Io”, a forza di esservisi dilatato, vi si sente dissolto e, improvvisamente, si riprende e si esalta, accadde un fatto improvviso e per me straordinario. Avevo visto cento volte l’ocra del versante scosceso, il blu del lago, il violetto dei monti di Savoia, e, sullo sfondo i ghiacciai scintillanti di Grand-Combin. Seppi per la prima volta che non li avevo mai guardati. Eppure vivevo in quel luogo da tre mesi. E quel paesaggio, certo, dopo il primo istante, non riusciva a dissolvermi, ma ciò che ad esso rispondeva in me non era che esaltazione confusa. Certo, l’”Io” del filosofo è più forte di tutti i paesaggi. Il sentimento acuto della bellezza non è che un riprendere consapevolezza, da parte dell’”Io”, che ne acquista maggior forza, di quella distanza infinita che ci separa da essa. Ma quel giorno, improvvisamente, io seppi che creavo io stesso quel paesaggio, che esso non era nulla senza di me: “Sono io che ti vedo, e che mi vedo vederti, e che, vedendomi, ti faccio”. Questo vero grido interiore è quello del demiurgo nella “sua” creazione del mondo. Non è soltanto sospensione di un “vecchio” mondo, ma proiezione di un “nuovo” mondo. E all’istante, infatti, il mondo fu ricreato. Mai avevo visto simili colori. Essi erano cento volte più intensi, più sfumati, più “vivi”. Seppi che avevo acquistato il senso dei colori, che avevo riacquistato un occhio vergine dinnanzi ai colori, che mai fino a quel momento avevo visto un quadro o ero penetrato nell’universo della pittura. Ma seppi anche che, per quel richiamo a se stessa della mia coscienza, per quella percezione della mia percezione, io possedevo la chiave di quel mondo della trasfigurazione che non è un retro-mondo misterioso ma il vero mondo, quello da cui la “natura” ci tiene in esilio. Nulla in comune, certo, con l’attenzione. La trasfigurazione è piena, l’attenzione no. La trasfigurazione si conosce nella propria sufficienza certa, l’attenzione si tende verso una sufficienza eventuale. Non si può dire, beninteso, che l’attenzione sia vuota. Al contrario, essa è a-vuota. Ma l’assenza di vuoto non è la pienezza. Quando ritornai al villaggio, quel giorno, le persone che incontravo erano per lo più “attente” al loro lavoro: eppure mi parvero tutti dei sonnambuli.

Raymond Abellio, Quaderni del Circolo di Studi Metafisici
Nostradamus alla viterbese


Roma 10 Agosto 1779

L'anno 1720, in occasione che nel Territorio di Viterbo si dovesse fare una scavazione alle falde di un monte, ritrovossi un Deposito con un cadavere incorrotto vestito da Monaco creduto Olivetano, il quale teneva in mano una carta ben custodita, che nessuno delli istanti poterono levargliela; Giunto l'avviso ad un monastero ivi vicino, attonito l'Abate portossi subito al sito descrittogli, e comandò al Cadavere in virtù di S. Obbedienza di cedere la carta a lui, il che subito seguì, ed apprendola l'Abate trovò il seguente contenuto, il quale fu spedito al Pontefice Clemente XII per cui in Roma molti ne fecero copia:

Anno 1760 usque 1770 Amarique ardebit
1770 usque 1780 Terremotus magnus super Renum
1780 usque 1790 Fides transibit
1790 usque 1800 Ecclesia Dei scaturiente Sanguinem
1800 usque 1860 Pastor non erit
1860 usque 1900 Ira Dei super omnem Terram
1900 usque 1940 Omnes Gentes veniunt et Adorabunt eum
1940 usque 1950 Deficient omnia, et Sacrificium
1950 usque 1980 Erit abbominatio, et Desolatio



Attendo esperti latinisti per traduzione della profezia.

lunedì 3 novembre 2008


O for a voice like thunder, and a tongue
to drown the throat of war!-when the
senses are shaken,and the soul is driven
to madness,who can stand?
When the souls of the oppressed
Fight in the troubled air that rages,
Who can stand?
When the whirlwind of fury
comes the Throne of God,
when the frowns of his countenance
drive the nations together,
Who can stand?
When sin claps his broad wings
over the battle,and sails rejoicing
in the flood of death;
when souls are torn to everclasting fire,
and fiends of hell rejoice upon the slain,
o,who can stand?
O,who hath caused this?
O,who can answer at the Throne of God?
The Kings and Nobles of the land have done it!
Hear it not,Heaven,thy ministers have done it!

O, avessi voce come tuono, e favella tale
da soffocare i cannoni della guerra! - Quando i sensi
sono scossi, e l’anima ridotta alla follia,
chi può resistere?
Quando le anime degli oppressi
lottano tormentate nell’impazzire dell’aria,
chi può resistere?
Quando l’uragano della furia
giunge dal Trono di Dio,
quando il crucciarsi del Suo volto
fa unire i popoli,
chi può resistere?
Quando il peccato agita le sue ali
sul campo di battaglia, e s’invola in un giubilo
nello straripare della morte;
quando le anime vengono distrutte dal fuoco eterno,
e i demoni dell’inferno gioiscono di tutti i morti,
o chi mai può resistere?
O, chi ha causato tutto questo?
O, chi può risponderne davanti al Trono di Dio?
I Re e i Nobili della terra han fatto questo!
Credici o no, Cielo, i tuoi ministri han fatto questo!

WILLIAM BLAKE

DEDICATO AI NOBILI DELLA TERRA, AI RE, AI MINISTRI DELLA RELIGIONE,
AUTO-PROCLAMATISI SERVI DI DIO- E AI SERVI DEL DENARO, DEL POTERE,
DELLA PAURA E DELLA MORTE.

domenica 2 novembre 2008


LA NUOVA UFOLOGIA ITALIANA È MAURIZIO BAIATA ED IL SUO X-TEAM

Maurizio Baiata può, senza paura di smentita, essere considerato il fondatore di un nuovo modo di vedere, sentire, ricercare quel fenomeno ufo così elusivo, problematico, enigmatico per definizione, che da millenni si manifesta in ogni parte del mondo, di volta in volta interpretato con le categorie mitiche, teologiche e scientifiche. Di contro ad un convenzionalismo riduttivistico propugnato da Roberto Pinotti ed i suoi bravi, che hanno imperversato nella pubblicistica, in televisione e nelle stanze del potere, Baiata ha coraggiosamente preso il largo, lontano dai lidi sicuri del conformismo ideologico. La mia non è una agiografia di parte, non è nel mio costume, questo rilievo è il frutto di anni di frequentazione ideale, telefonica e in web e tanto basta per decifrare l'uomo e lo studioso. Al più presto lo incontrerò e certe dinamiche dominanti si realizzeranno, per raggiungere l'agognata verità su quei carri di fuoco che solcano da tempo immemore i nostri cieli. A lui dedico una poesia di Robert Frost che ben delinea la nostra equazione personale. “Due strade trovai nel bosco ed io, io scelsi quella meno battuta, ed è per questo che sono diverso”.


LA NUOVA RIVISTA ORGANO DEL X-TEAM
X-TEAM: NASCE IL GRUPPO DI RICERCA UFOLOGICA SVINCOLATO DAI CONDIZIONAMENTI DEL SISTEMA


Dopo diverso tempo dal lancio della nostra idea di costituire un gruppo di ricerca e divulgazione denominato TEAM AREA 51, è giunto il momento di rendere operativa questa iniziativa. Innanzitutto, il gruppo si presenta ora sotto la nuova denominazione di X-TEAM, scelta dettata da ragioni collegate alla interruzione delle pubblicazioni della rivista mensile “Area 51”, ma soprattutto perché efficace e immediatamente riconoscibile nei suoi intenti. Un nuovo nome che ci auguriamo venga accolto altrettanto favorevolmente.  A breve, verranno contattati quanti hanno già dato la propria disponibilità ad aderire al nostro gruppo (non associazione) presente sull’intero territorio nazionale e interessato a tematiche quali:

1. UFOLOGIA COME ESOPOLITICA ANTI-COVER UP
2. ESPERIENZE DI CONTATTO (AVVISTAMENTI E ABDUCTION)
3. TESTIMONIANZE, DOCUMENTAZIONI, ANALISI DI FOTO E FILMATI

Coloro che effettueranno ricerche ed elaboreranno analisi e possibili tesi, vedranno pubblicato e divulgato quanto raccolto, senza censure e con la massima collaborazione verso tutti gli appartenenti allo X-TEAM e verso le strutture (siti Internet, organi di stampa e di informazione) che vorranno ottenere, a richiesta, maggiori informazioni sui casi sottoposti ad indagine.

Ricordiamo che allo X-TEAM non si può aderire se si è iscritti ad altri gruppi e/o associazioni, in quanto potrebbero venir meno i criteri di correttezza e trasparenza, dapprima verso le associazioni alle quali si è iscritti e, di non secondaria importanza, verso gli appartenenti allo stesso X-TEAM, nel rispetto degli obiettivi prefissati e che verranno condivisi nel suo ambito.  Chiunque (dai 18 anni in su) desideri aderire, può segnalarcelo dichiarando “Voglio far parte dello X-TEAM" e specificando le proprie generalità (non sono ammessi pseudonimi) e i propri recapiti (indirizzo, telefoni, posta elettronica) e i settori di ricerca di interesse con una mail indirizzata a: info@dnamagazine.it  

Nel tempo, saranno creati e/o utilizzati strumenti via Internet (E-Mail, Skype e quant'altro), affinché tutti possano essere contattati singolarmente e direttamente, con appuntamenti quotidiani o settimanali, allo scopo portare avanti, seriamente, la ricerca.

X-TEAM verrà coordinato in redazione da Lavinia Pallotta che, per motivi di impegni professionali, si avvarrà della collaborazione di UFOSKYWATCHERS di Roma, nella persona di Angelo D’Errico e del gruppo che con lui collabora.

X-TEAM ORGANIZATION
 

sabato 1 novembre 2008


SOGNARE, FORSE.

Sto leggendo "Storia del Fantasticare" capolavoro di E. Zolla. Questa demonizzazione del fantasticare, assai opportuna in quest'epoca di farneticazioni, mi fa ulteriormente riflettere sulla questione. So bene che è la [cattiva] fantasia che ci separa dal Principio, ma in fondo quella non è che il riflesso di una fantasia più che "psicologica", il gioco divino (Lila) e la magia creatrice, (Maya).
Anche nel microcosmo uomo la fantasia ha un ruolo, è il polo yin, recettivo del pensiero. Non a caso la fantasia dei singoli risente dello psichismo collettivo. I fantasticatori di professione credono di creare mentre subiscono le indefinite variazioni di temi ripetuti e prevedibili. Noia dell'arte contemporanea "libera".  Essi sono come persi nel polo "materiale" e terreno del pensiero, un mare indefinito.
In condizioni normali la fantasia riflette il cielo.
Chiuso nella sua cella De Sade non può che enumerare la noia del crimine, con la pretesa stolta d'essere esauriente. Eppure fantasticare, lasciare cioè scorrere immagini e suoni, imprese e progetti è hiblis antica, forse adamitica.
I bambini fantasticano avventurandosi nei mondi di sogno, reame duale del sottile, labirinti senza pietra in cui il corretto orientamento è d'obbligo.
Fa riflettere la deriva che prenderà lo stesso Zolla, i cui scritti eruditi e curiosi assumeranno sempre più la forma della reverie, con associazioni discontinue, immagini oniriche, un certo caos sincretistico.
Non basta denunciare i demoni per averne ragione, bisogna convertirli, poiché il fantasticare è anche un luogo di rifugio per l'individuo isolato, un luogo misterioso, illimitato con porte infernali e celesti. Sradicati dalla tradizione, lì possiamo immaginare un ritorno che il mondo con i piedi "per terra" giudica ormai impossibile. Senilità.
Eppur tornare è d'obbligo. Questo è il senso della Vi(t)a. Ad un certo punto anche la fantasia andrà sublimata, ma questa è già alchimia.
LA DOTTRINA DEGLI STATI MOLTEPLICI DELL’ESSERE NEL CRISTIANESIMO

Sul finire degli anni Cinquanta il dantista Philippe Guiberteau (1897-1972), che nel 1947 ha già dato alle stampe una traduzione del Paradiso, si appresta a curare per Gallimard l’edizione commentata del Convivio. Per l’occasione entra in contatto epistolare con lo shaykh Mustafa 'Abd al-'Aziz, il rumeno naturalizzato francese Michel Valsan (1907-74), che tra il ’58 e il ’59 gli indirizza tre lettere ora pubblicate in italiano con il titolo La dottrina degli stati molteplici dell’Essere nel Cristianesimo (ed. Orientamento/Al-Qibla, Reggio Emilia 2007).
Rifacendosi in particolare a Tommaso d’Aquino, Ruysbroeck e Dante, Valsan considera a tutti gli effetti come cristiana la concezione secondo cui nell’uomo sono compresenti tre differenti stati dell’essere: umano, angelico e divino. L’obiettivo delle tradizioni iniziatiche orientali e occidentali consiste appunto nel risvegliare quest’ultimo livello, arrivando all’identificazione senza mediazioni tra il conoscitore e l’oggetto della conoscenza, tra l’amante e l’Amato. È questa la realizzazione metafisica ("l’Identità suprema dell’io e del Sé"), l’"indiarsi" in cui sfocia il trasumanar dantesco. Valsan è convinto che tale finalità realizzativa fosse perseguita, in seno al Cattolicesimo medievale e non in contrapposizione alla dottrina della Chiesa, da gruppi di sapienti e di contemplativi piuttosto ristretti dei quali facevano parte i "fedeli d’Amore" stilnovisti: un’esperienza conoscitiva, nella quale l’ambito dell’"essere" non si può disgiungere da quello del "vedere", che era inevitabilmente connotata in senso elitario anche se non classista, come chiarì per primo Guinizelli con la teoria del gentil core. Guiberteau, in seguito diventato presidente della "Société d’études dantesques", è un appassionato lettore di Guénon ma, a differenza di Guénon, ritiene che la confraternita a cui sarebbe appartenuto Dante stesso avesse caratteristiche settarie, ereticali e gnostiche tali da porlo al di fuori dell’ortodossia cattolica. Nelle sue lettere Valsan si sforza di dimostrare invece come la dottrina su cui poggiano i presupposti della realizzazione metafisica, quella appunto degli stati molteplici dell’essere, si ponga come "il fondamento dottrinale immutabile di tutti i teologi e i maestri autentici della spiritualità cristiana". A sostegno di questa tesi Valsan riprende diversi testi della tradizione cristiana, a partire da quel versetto 6 del Salmo 82 citato nel Vangelo di Giovanni (X, 31-39) che pare piuttosto esplicito in tal senso: "Ho detto: voi siete degli dei! Voi siete i figli dell’Altissimo!" ("Ego dixi: dii estis et filii Excelsi omnes"), per arrivare a Tommaso d’Aquino, secondo il quale la "somiglianza" (similitudo) degli uomini con Dio si basa "sul fatto che essi rappresentano la ragione concepita intellettualmente da Dio" (secundum repraesentationem rationis intellectae a Deo), e a Ruysbroeck, che nell’Ornament des Noces spirituelles si riferisce all’"unità in cui Dio e lo spirito amante sono uniti senza intermediario". Una nitida enunciazione della dottrina degli stati molteplici è contenuta per esempio in Convivio, III, 7, 6: "ne l’ordine intellettuale de l’universo si sale e discende per gradi quasi continui da la infima forma a l’altissima e (da l’altissima) a la infima". La salita per i gradi dell’essere fino a raggiungere l’Identità Suprema è resa possibile da quella che Dante chiama la mente, vale a dire dalla facoltà intuitiva e contemplativa comune all’uomo e agli angeli, la "fine e preziosissima parte de l’anima che è deitade" (Convivio, III, 2, 19) risvegliata e attivata dalla Grazia, che "participa de la divina natura a guisa di sempiterna intelligenza" (Convivio, III, 2, 14). La tradizione pienamente cattolica in cui si inserisce Dante rende attuali proprio quelle potenzialità iniziatiche, indispensabile prologo celeste di ogni forma religiosa e devozionale, sistematicamente dimenticate o soffocate in tempi a noi più vicini: forse è proprio su questo campo, con in palio il recupero di un grandioso patrimonio spirituale perduto, che per l’Europa si giocherà la partita decisiva degli anni a venire.

La schiavitù monetaria: una mostruosità storica nata nel 1694 con la Banca d’Inghilterra

LE PAROLE DI SATANA

di Giacinto Auriti


Goethe affermava che “nessuno è più schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo”. Questo principio è particolarmente valido nel sistema monetario vigente.
Il cittadino si illude di essere proprietario dei soldi che ha in tasca, mentre ne è debitore. La banca, infatti, emette la moneta solo prestandola, sicché la moneta circola gravata di debito.
Il segno della schiavitù monetaria è data dal fatto che la proprietà nasce nelle mani della banca o, per meglio dire, del banchiere ché emette prestando e prestare è prerogativa del proprietario.
La moneta, invece, deve nascere di proprietà del cittadino perché è lui che, accettandola, ne crea il valore; tanto è vero che, se si mette un governatore a stampare moneta in un isola deserta, il valore non nasce perché, mancando la collettività, viene meno la possibilità stessa della volontà collettiva che causa questo valore. Come ogni unità di misura (e la moneta è la misura del valore) anche la moneta è una convenzione.
Quando la moneta era d’oro chi trovava una pepita se ne appropriava senza addebitarsi verso la miniera. Oggi al posto della miniera c’è la banca centrale, al posto della pepita un pezzo di carta, al posto della proprietà il debito.
Non si può comprendere come sia stata possibile questa mostruosità storica (nata nel 1694 con la Banca d’Inghilterra e con l’emissione della sterlina) se non si muove dalla definizione della moneta strumento (sterco) del demonio. La verità di questa definizione è stata avvertita anche da S. Francesco d’Assisi quando vietava ai padri questuanti di ricevere oboli in moneta. Noi ora ne dimostreremo la piena fondatezza sulla base delle stesse parole di Satana che stanno nel Vangelo.
Satana, nel Vangelo, parla tre volte. Dopo il digiuno di Cristo nel deserto, Satana Gli dice: “Tramuta le pietre in pane”. Per lo più queste parole sono interpretate nel senso di considerarle come tentazione in quanto Cristo era affamato e mangiare pane sarebbe stato motivo della tentazione. Questa interpretazione non è accettabile perché la tentazione è sempre relativa ad un peccato e mangiare pane dopo quaranta giorni di digiuno è moralmente ineccepibile.
Dunque la giustificazione delle parole di Satana va intesa diversamente e chi ci dice come interpretare le parole di Satana è proprio Cristo quando, rispondendo a Satana, afferma (Mt. 4,4)
“Sta scritto, non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Ciò che sorprende in questa frase di Gesù è la novità della proposta, mai considerata dai teorici dell’interpretazione, di dedurre il significato delle parole non dalla loro espressione letterale, ma dalla bocca che le pronuncia. Quelle parole erano uscite dalla bocca di Satana; sicché per interpretarle esattamente va considerata l’ipotesi, peraltro assurda, che Cristo avesse accettato l’invito di Satana e trasformato le pietre in pane. In tal caso avrebbe potuto ben dire a Cristo: "Tu puoi mangiare pane per mio merito perché io Ti ho dato il consiglio di trasformare le pietre in pane.” Quindi Cristo sarebbe stato trasformato da “padrone” a “debitore” del Suo pane.
A ben guardare questa ipotesi si verifica puntualmente nell’emissione della moneta nominale. Quando la banca centrale emette moneta prestandola, induce la collettività a crearne il valore accettandola, ma contestualmente la espropria ed indebita di altrettanto, esattamente come Satana avrebbe fatto se Cristo avesse accettato l’invito di trasformare la pietra in pane. Se si mette al posto della pietra la carta, ed al posto del pane l’oro, al posto di Satana la banca, si riscontrano nella emissione della Sterlina oro-carta e di tutte le successive monete nominali, tutte le caratteristiche della tentazione di Satana.
Con la costituzione della Banca d’Inghilterra e del sistema delle banche centrali, tutti i popoli del mondo sono stati trasformati da proprietari in debitori ineluttabilmente insolventi del proprio denaro. La banca, infatti, prestando il dovuto all’atto dell’emissione, carica il costo del denaro del 200%. L’Umanità è così precipitata in una condizione inferiore a quella della bestia. La bestia, infatti, non ha la proprietà, ma nemmeno il debito.
È gran tempo ormai che si comprenda che tutti possono prestare denaro tranne chi lo emette. Con la moneta debito l’Umanità è stata talmente degradata che non a caso si è verificato il fenomeno del “suicidio da insolvenza” come malattia sociale che non ha precedenti nella storia. Ciò conferma la Profezia di Fatima: “I vivi invidieranno i morti”.
Non si possono valutare esattamente le tentazioni di Satana se non le si considerano nel loro contesto globale. Particolarmente significativa, in questo senso, è la terza tentazione (Mt. 4, 8-9)
" Gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro magnificenza, poi disse a Gesù: tutto questo io Ti darò. Se Ti prostri e mi adori”. Adorare prostrati significa mettere Satana sull’altare al posto di Dio. Ciò spiega perché gli adoratori di Satana contestano fondamentalmente e necessariamente l’Eucarestia Cattolica.
La circostanza che il Protestantesimo si sia basato sulla contestazione dell’Eucarestia Cattolica ed abbia promosso la costituzione delle banche centrali come promotrici della moneta-debito parla da se. Non a caso il parlamento inglese approva nel 1673 il Test Act: l’editto con cui viene dichiarata illegittima l’Eucarestia Cattolica e la Transustanziazione.
Non a caso nel 1694 viene fondata la banca d’Inghilterra che emette la sterlina sulla regola di trasformare il simbolo di costo nullo in moneta, inaugurando l’era dell’oro-carta.
Non a caso nasce la subordinazione del potere religioso a quello politico quando il re d’Inghilterra diventa anche capo della religione protestante anglicana sovvertendo l’ordine gerarchico del Sacro Romano Impero per cui l’autorità politica era autonoma ed eticamente subordinata alla sovranità religiosa.
Non a caso quando il protestantesimo entra in Europa continentale non fonda una chiesa, ma una banca: la Banca Protestante il cui presidente, il Neker, diventa consigliere di Luigi XIV.
Non a caso tutte le monarchie cattoliche della vecchia Europa si disintegrano perché si indebitano senza contropartita verso i banchieri per la moneta satanica da questi emessa a costo nullo e che gli stessi re avrebbero potuto emettere gratuitamente per proprio conto senza indebitarsi.
Non a caso in Svizzera vige la regola di essere ad un tempo “banchieri” e “protestanti”.
Non a caso la differenza essenziale tra Sacro Romano Impero e Commonwealth Britannico è la moneta. Lì il portatore è proprietario delle moneta, qui è debitore.
Non a caso, dopo aver tolto Dio dall’altare con la negazione dell’Eucarestia Cattolica e fondata la banca d’Inghilterra, il Commonwealth raggiunge nel 1855 una estensione di 22 milioni e 750 mila chilometri quadrati. Oggi tutto il mondo è Commonwealth. Tutto il mondo è “colonia monetaria”.
Satana, principe di questo mondo, è una persona seria: mantiene le promesse fatte a fin di male. Dopo che il male è stato fatto concede ai suoi adoratori il dominio su tutti i popoli del mondo.
Su queste premesse ci si spiega anche la tentazione di Satana quando esorta Cristo a gettarsi dalla cima del tempio della Città Santa. Chi è padrone di tutto il mondo e di tutto il denaro del mondo, o perché lo possiede o perché ne è creditore, non desidera sovranità e ricchezza perché già le possiede, ma ha sete di vanagloria. Si giustifica così anche questa tentazione.
LA CRISI FINANZIARIA MONDIALE DELL'AUTUNNO 2008

Si dice spesso che capitalismo sia sinonimo di crisi, ovvero che esso si nutra delle crisi che provoca, oppure che la sua « facoltà d’adattamento » sia illimitata, lasciando così intendere che esso sia indistruttibile. In realtà, è necessario distinguere le crisi cicliche, congiunturali (descritte ad esempio dai celebri « cicli » di Kondratieff), dalle crisi sistemiche, strutturali (come quelle che ebbero luogo tra il 1870 ed il 1893, all’epoca della Grande Depressione del 1929, o quelle occorse tra il 1973 ed il 1982, quando una disoccupazione di tipo strutturale ha cominciato ad apparire tra i paesi occidentali). Con la crisi finanziaria attuale, è indubbio che ci si trovi di fronte ad una crisi strutturale, corrispondente ad una rottura della pertinenza logica e della coerenza dinamica della totalità del sistema. Giunta dopo la crisi del mercato azionario del 1987, la recessione americana del 1991, la crisi asiatica del 1997, l’esplosione della bolla dei valori Internet del 2001, questa crisi, molto più forte delle precedenti, è decisamente la più grave che si sia conosciuta fin dagli anni Trenta. 
La maggior parte della gente comprende assai poco di ciò che sta accadendo. Gli si sono decantati per anni i meriti del « modello americano » ed assicurati i benefici della « mondializzazione felice ». Essa vede ora il modello americano diffondersi e la globalizzazione accrescere la miseria sociale. Lo spettacolo delle banche centrali - sia negli Stati Uniti che in Europa - che hanno immesso, dopo il 15 settembre, centinaia di miliardi di dollari e di euro sui mercati finanziari, le pone da pensare: da dove viene tutto questo denaro? Le domande inoltre si nutrono della sensazione che nessuno sembra veramente sapere che cosa si possa fare. Il relativo silenzio della maggior parte degli uomini politici a tale riguardo è significativo. Infine, la gente si domanda se questa crisi fosse o meno prevedibile. E se fosse stata prevedibile, perché non è stato preso alcun provvedimento tempestivo? Se viceversa non fosse stata prevedibile, non è questa una prova che nessuno controlla un sistema finanziario lanciato in una folle corsa in avanti? Di fatto siamo di fronte ad una tripla crisi: crisi del sistema capitalista, crisi della mondializzazione liberale, crisi dell’egemonia americana.
La spiegazione più frequentemente avanzata per interpretare l’attuale crisi è l’indebitamento delle famiglie americane dal versante dei mutui ipotecari immobiliari (i famosi « subprimes »). Si dimentica soltanto di dire perché si siano indebitate. Uno dei tratti dominanti del « turbo-capitalismo », corrispondente alla terza ondata della storia del capitalismo, è il completo controllo dei mercati finanziari globalizzati. Questo controllo dà un potere crescente ai detentori di capitale, ed in particolar modo agli azionisti, che sono oggi gli effettivi proprietari delle società quotate in Borsa. Desiderosi di ottenere un rendimento massimale il più rapido possibile dei loro investimenti, gli azionisti spingono alla compressione dei salari ed alla delocalizzazione opportunistica della produzione verso i paesi in via di sviluppo dove l’aumento della produttività va di pari passo con il basso costo salariale. Risultato: prima di tutto, l’aumento del valore aggiunto profitta ai redditi da capitale piuttosto che ai redditi da lavoro, la deflazione salariale si traduce nella stagnazione o nella perdita del potere d’acquisto della maggioranza della gente, e si ha infine la diminuzione della domanda solvibile globale.
La strategia attuale della Forma-Capitale è dunque di comprimere sempre più i salari, di aggravare crescentemente la precarietà del mercato del lavoro, producendo nel contempo un impoverimento relativo delle classi popolari e dei ceti medi che, nel tentativo di mantenere il loro tenore di vita, non hanno altra risorsa che l’indebitamento, nello stesso tempo che la loro solvibilità diminuisce. 
La possibilità offerta alle famiglie di chiedere prestiti per sostenere le spese quotidiane o acquistare una casa è stata l’innovazione maggiore del capitalismo nel dopo-guerra. Le economie sono da allora state stimolate da una domanda artificiale fondata sulla facilità del credito. Oltreoceano, questa tendenza è stata incoraggiata dagli anni ’90 attraverso la concessione di condizioni di credito sempre più favorevoli (contributo personale prossimo allo 0 %), senza alcune considerazione sulla solvibilità di mutuatari ed imprestatari. Si è inoltre cercato di compensare il calo della domanda solvibile risultante dalla compressione dei salari attraverso l’entusiasmo per la macchina del credito. In altri termini, si sono stimolati i consumi attraverso il credito, non potendoli stimolare attraverso l’aumento del potere d’acquisto. È stato l’unico mezzo, per i detentori dei portafogli finanziari, di trovare nuovi giacimenti di rimuneratività, fosse anche al prezzo di rischi inconsiderati. Da qui il faraonico indebitamento delle famiglie americane, che hanno scelto dopo tanto tempo di consumare piuttosto che di risparmiare (considerando inoltre che nel frattempo il 17 % della popolazione è già privo di ogni copertura sociale). Le famiglie americane sono oggi due volte più indebitate delle famiglie francesi, e tre volte più indebitate delle famiglie italiane. Il loro stesso sovra-indebitamento è praticamente uguale al prodotto interno bruto (PIB) degli Stati Uniti. In seguito, si è speculato sui « crediti marci » dalla prospettiva della « cartolarizzazione », che ha permesso ai grandi attori della sfera del credito di sgravarsi - e di rendere liquidi – dai rischi di insolvibilità dei loro imprestatari. La « cartolarizzazione», che è un’altra fra le maggiori innovazioni finanziarie del capitalismo del dopo-guerra, consiste nella suddivisione in parti,  dette obbligazioni, di prestiti accordati con una banca o una società di crediti, per poi rivendere il montante, in altri termini il rischio, ad altri agenti finanziari appartenenti al mondo dei fondi di deposito. Si è creato così un vasto mercato del credito, che è nel contempo un mercato del rischio. È il crollo di questo mercato che ha provocato la crisi attuale.
Ma la presente è anche una crisi della mondializzazione liberale. La trasmissione brutale della crisi ipotecaria americana ai mercati europei è il frutto diretto di una mondializzazione pilotata e realizzata dagli apprendisti stregoni della finanza. Al di là della sua causa immediata, essa costituisce l’esito di 40 anni di deregolamentazione voluta da un modello economico globale secondo le ricette liberali. È in effetti l’ideologia della « dérégulation » che ha reso possibile il sovraindebitamento americano, esattamente com’essa era già stata all’origine delle crisi messicana (1995), asiatica (1997), russa (1998), argentina (2001), ecc. D’altra parte, è anche la globalizzazione che ha creato una situazione nella quale le crisi maggiori si propagano oramai quasi istantaneamente, in modo « virale » come avrebbe detto Jean Baudrillard, per la totalità del pianeta. È per tale motivo che la crisi americana ha toccato così rapidamente i mercati finanziari europei, a cominciare dal mercato del credito, con tutte le conseguenze che può avere una simile ondata di shock in un momento in cui l’economia americana come quella Europea sono ai limiti della recessione, se non della depressione. Da questo punto di vista, è una comica irresistibile osservare coloro che non demordono nell’incensare i meriti della « mano invisibile » e le virtù del mercato « autoregolamentato » (« è il mercato che si deve occupare del mercato», si legge regolarmente sul Financial Times) precipitarsi verso i poteri pubblici per chiedere loro ricapitalizzazioni o nazionalizzazioni di fatto. È la visione lampante dell’ipocrisia liberale: privatizzazione dei benefici e socializzazione delle perdite. Si sapeva già che gli Stati Uniti, grandi difensori del libero scambio, non si privano mai del ricorso al protezionismo ogni qualvolta esso giovi ai loro interessi. Ed ora si rende evidente come gli avversari del « big governement » si rivolgono allo Stato quando sono sull’orlo del fallimento. La nazionalizzazione di fatto di Fannie Mae e Freddie Mac, i due giganti del prestito ipotecario americano, rappresenta a tal riguardo un fatto senza precedenti. Mentre nel 1929 il governo americano fece l’errore di affidare la gestione della crisi ad un « sindacato di banchieri » diretto da Rockefeller, Henry Paulson, segretario del tesoro, e Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, oggi hanno deciso di nazionalizzare gli stabilimenti maggiormente minacciati. Decisione unica nella storia degli Stati Uniti dall’epoca di Ronald Reagan, ed intervento più radicale mai effettuato all’interno del privato mondo della finanza di tutta la storia della Federal Reserve. Si può qui osservare un brutale ritorno al principio di realtà. Ma è nel contempo, per l’ideologia liberale, l’affondamento di uno dei suoi principi di legittimazione (la sfera pubblica non deve mai interferire con i meccanismi del mercato, pena la perdita della sua efficacia).
Non si deve perdere di vista, infine, che questa crisi mondiale ha la sua origine negli Stati Uniti, ovvero in un paese che deve già fronteggiare un deficit di bilancio abissale, un debito estero che non cessa di crescere ed un deficit commerciale colossale. Dopo 10 anni, l’economia americana non ha più come motore la crescita dovuta alla produzione reale, ma l’espansione del debito e della rendita monetaria risultanti dal dominio mondiale del dollaro. L’indebitamento totale (debito pubblico + debito delle famiglie + debito delle imprese) rappresenta oggi l’equivalente del 410% del PIB (dunque il montante è di 13000 miliardi di dollari) - l’adozione del piano Paulson sarebbe tutt’al più chiamata ad aggravare il déficit ! Ora, la crisi non può che contribuire ad erodere la fiducia nel dollaro, che tenderà con tutta probabilità a diminuire ulteriormente. Il fatto che il dollaro sia nel contempo una valuta nazionale e un unità di conto internazionale, in più libera da ogni legame con l’oro dal 1971, ha permesso per lungo tempo agli Stati Uniti di affermare e di far pesare la loro egemonia mentre continuavano a registrare deficits colossali. Il procedimento è consistito – per gli Americani – nell’esportazione sistematica dei loro titoli di debito verso paesi eccedenti. Nell’avvenire, l’inquietudine dei grandi fondi pubblici e privati che, particolarmente in Asia, detengono quantità considerevoli di titoli pubblici e parapubblici americani (buoni del Tesoro ecc.), e dunque tanto credito nei confronti degli Stati Uniti, sarà determinante. Allo stato attuale, il 70 % di tutte le riserve straniere nel mondo sono costituite da dollari, e questa massa non ha da lungo tempo il minimo rapporto con il volume reale dell’economia americana. Negli anni che verranno, non è impossibile che i paesi esportatori di petrolio abbandoneranno a poco a poco il dollaro (i famosi « petrodollari ») in favore dell’euro. A lungo termine, questa situazione potrebbe portare paesi come la Cina e la Russia ad assumere responsabilità finanziarie internazionali, e a mostrare come si rapporteranno nei confronti di una concezione alternativa all’ordine finanziario internazionale attuale. George Soros nella primavera scorsa  lo disse senza ambiguità: « il mondo si avvia deciso verso la fine dell’era del dollaro ». 
Adesso si rassicura sul fatto che sarà sufficiente « regolamentare » o « moralizzare » il sistema per evitare questo genere di crisi. Gli uomini politici, a cominciare da François Fillon e Nicolas Sarkozy, parlano di « deviazione della finanza », mentre altri stigmatizzano l’« irresponsabilità » dei banchieri, lasciando in tal modo intendere che la crisi non è dovuta che ad un’insufficienza di regolamentazione e che un ritorno a pratiche più « trasparenti » permetterebbe di rianimare e rimettere in gioco un capitalismo meno carnivoro. È un doppio errore. In primo luogo perché è precisamente l’impotenza dei politici nei confronti della crisi di efficacia del capitale che ha aperto la via alla liberalizzazione totale del sistema finanziario.
Di seguito e soprattutto, perché si ignora così la natura stessa del capitalismo. « Il capitale soffre ogni limite come un ostacolo », disse già Karl Marx. La logica dell’accumulo del capitale è l’illimitazione, il rifiuto di ogni limite, la razionalizzazione del mondo attraverso la ragione mercantile, la trasformazione di tutti i valori in merci, la Gestell di cui ha parlato Heidegger.  L’adozione del piano Paulson sarebbe certamente necessaria, ma avrebbe senza dubbio effetti perversi. In effetti, se le banche e le grosse società sull’orlo del baratro sono assicurate dal sostegno finanziario dei poteri pubblici, tale operazione rappresenta un incitamento indiretto al riprodursi delle stesse disfunzioni, conducendo così a nuove crisi speculative.  Nell’immediato, è significativo che né le iniezioni di liquidità provenienti dalla Federal Reserve e delle banche centrali, né l’adozione del piano Paulson sembrano aver provocato la reazione positiva sperata da parte dei mercati. È la chiara dimostrazione dei limiti di una politica puramente monetaria.
Nelle fasi di sovra-accumulazione del capitale, il rafforzamento del potere finanziario diviene la leva determinante di un’intera strategia volta ad aumentare la redditività del capitale stesso. Al di là della sola finanza, è infatti la regolamentazione dell’economia tutta attraverso il solo criterio del profitto, senza considerazione dei fattori umani, delle vite maltrattate, dell’esaurimento delle risorse naturali, dei costi non mercantili (le « esternalità negative »), che è messa in questione dalla crisi finanziaria. La causa ultima di questa crisi è la ricerca del profitto finanziario più elevato possibile nel minimo tempo, e dunque la ricerca dell’aumento massimale del valore del capitale ad esclusione di ogni altra considerazione. Per un effetto « domino », la crisi può portare alle estreme conseguenze i difetti di pagamento a catena di tutti gli agenti economici, e dunque un affondamento del sistema finanziario mondiale? Ciò non accadrà. È possibile che le misure prese in queste ultime settimane siano di una natura tale da impedire al sistema finanziario di crollare completamente. Ma nel migliore dei casi, la crisi economica si avvia a perdurare a lungo, con una recessione (o una depressione) negli Stati Uniti ed un forte rallentamento in Europa, che provocherà un balzo della disoccupazione. Risulterà inoltre necessariamente un calo importante dei profitti, che si ripercuoterà inevitabilmente sui mercati e sull’andamento della Borsa. Contrariamente a ciò che si dice talvolta, la linea tra l’economia speculativa e l’economia reale è ben tracciata ed evidente. Le imprese dipendono a tutti gli effetti dal sistema bancario, non fosse altro che per il credito di cui necessitano per i loro investimenti. Ora, la crisi porterà le banche, fragili per l’accumulazione di cattivi debiti generati dal campo immobiliare, a ridurre brutalmente i loro crediti (è il « credit-crunch »). Le conseguenze politiche e sociali si faranno sentire molto presto. Le difficoltà sono appena all’inizio. 
Alain de Benoist